Ho accumulato in questi ultimi anni, quella che chiamerei parcofobia. Si, parcofobia. Non si tratta di paura degli spazi aperti, cioè agorafobia, no. Si tratta della paura di attraversare un parco. Per anni sono stata assidua frequentatrice dei parchi della mia città (una cittadina, veramente), uno in particolare: magnifico giardino di una ex residenza dogale.
Negli anni si è drammaticamente rimpicciolito: prima un teatro, poi alcune classi di un liceo, poi la nuova sede della Polizia Locale. E’ diventato un luogo ibrido, non più quel luogo incantato dove passavo le ore a passeggiare tra viali silenziosi e alberati, ma una sorta di comunità allargata pluridimensionale ed ha perso lo spirito e la connotazione del giardino per diventare una confusa realtà piena di cose che non c’entrano nulla con la magia della natura che, nel corso degli anni, aveva fatto di quel luogo un posto unico.
Lo amavo, lo sentivo in sintonia con la parte più profonda di me, quando bambina attraversavo la campagna mano nella mano con la mia solitudine. Che era anche e soprattutto anelito di libertà.
Ora non lo sento più quel luogo che mi riportava indietro a quegli anni, ma un luogo quasi ostile. Si ostile. Molti degli alberi che amavo sono stati abbattuti, sia perché colpiti da fulmini o semplicemente perché erano diventanti troppo grandi e il Comune temeva potessero abbattersi d’improvviso addosso a comitive di passaggio.
Ora lo temo, il mio parco. O ex mio. Lo sento ostile. Mi sembra che nasconda pericoli ad ogni angolo. Per anni ho passeggiato, da sola o in compagnia lungo quei viali, per anni ho parlato con gli alberi che mi rispondevano riconoscendomi, li ho abbracciati e ho sentito pulsare la vita dentro di loro, ma la sensazione che provo ora quando varco il cancello è quella di entrare in un luogo che non mi appartiene e che può ferirmi ad ogni passo.
Con la nostalgia ma non solo. Temo di fare brutti incontri ad ogni angolo un po’ nascosto, cani, bici, uomini con la faccia torva, spettri o figure reali ma sempre inquietanti.
Non so, forse sarà il tempo che passa, forse il Covid che ha inasprito tutte le possibili interazioni tra esseri umani per la paura di contrarre il virus, forse la mia percezione falsata dai miei stati d’animo, forse la guerra in Ucraina e forse la politica che sento tanto inquieta e impreparata e inadeguata.
Ma una sottile ansia mi pervade appena arrivo in vista del parco. Lo vorrei attraversare come facevo prima, quando entrare mi provocava gioia, quasi euforia. Ma non ci riesco, qualcosa mi frena e rimango attorno alla grande magnolia centenaria con l’occhio vigile alla prima via di fuga disponibile. E mi viene da piangere.