“Che numero hai tu”?
Cosi iniziò quella strana conversazione in quel posto che non saprei come definire. Uno stanzone, piuttosto disadorno. Quasi privo di mobili se non fosse stato per una grande scrivania proprio nel mezzo, qualche seggiolino scrostato appoggiato alla parete di fondo e niente altro, niente quadri o piante o altro che desse l’impressione di un luogo abitato da esseri umani. Un luogo di passaggio, ecco.
“Mi sembra che vadano veloci, non pare anche a te?Come ti chiami”?
“Camilla e tu?” “Io mi chiamo Laura”.
Le due ragazze stavano proprio al centro della stanza, poco distante dalla scrivania. Gli avevano detto di fermarsi li e di aspettare; sarebbero state chiamate quando fosse arrivato il loro momento. C’era un leggero brusio di sottofondo proveniente da un gruppetto di persone che se ne stavano in un angolo della grande stanza, parzialmente nascoste da una sorta di basso paravento con delle scritte che sembravano ideogrammi. Parlottavano a bassa voce tra loro ed avevano tutte un certo non so che di provvisorio, quasi spettrale.
Camilla e Laura avevano un aspetto un po’ trasandato. La prima portava una lunga gonna di velluto e una camicetta a fiori abbottonata fino quasi al collo, scarpe di camoscio basse e una borsa a tracolla a forma di tascapane.
L’altra era vestita con un paio di jeans sdruciti, un maglione rosso a coste col collo alto, un paio di stivali alla caviglia di tipo militare e uno zainetto che sembrava pesarle sulle spalle piuttosto magre. Entrambe avevano un’aria stanca come se non avessero dormito da lungo tempo.
“Tu di che epoca sei?”. “Epoca? Cosa significa, che vuoi dire?” “Si, insomma, il periodo, l’anno,o se preferisci il tuo tempo, chiaro, no”?
“Ah, il tempo. Non saprei a volte mi pare poco che sto qui , a volte mi sembra di esserci sempre stata. E’ strano, sai, mi vengono in mente tante cose ma non capisco se mi sono successe in epoche lontane o poco tempo fa. Qui è tutto cosi diverso da dove stavo prima. Non sento più nessuna emozione. E non mi dispiace, neppure i sentimenti mi pare più di provare. Sai, quelli che ti fanno soffrire, o gioire a seconda dei casi. Qui non li provo è strano. Non saprei se è meglio o peggio. Mah!
L’ultima a parlare è stata la ragazza in jeans, Laura.
“Il tempo è una nozione di difficile interpretazione. Se stiamo sempre a guardare l’orologio notiamo che le lancette girano e che continuano incessantemente e a meno che la batteria dell’orologio non finisca, loro continuano a girare. Ma anche se la batteria finisce e le lancette si fermano, altri orologi continuano a scandire il tempo che continua a trascorrere, tutto va avanti e non si ferma mai. Da quando sono qua e il mio orologio ha smesso di funzionare e se tu noti, qui, di orologi, non ne trovi tanti e quelli che ci sono, sono fermi., il tempo non viene preso in nessuna considerazione qui, ma forse ti sembrerò un po’ matta”. Per Camilla e Laura l’orologio si era fermato ma il tempo aveva continuato lo stesso a passare e loro erano rimaste identiche a quel momento in cui, per loro, si era fermato.
D’un tratto si accendono delle luci rosse in fondo alla stanza in corrispondenza di un numeratore e appare il numero 7 lampeggiante. Nel contempo un voce metallica scandisce le seguenti parole:
“Attenzione , il numero sette si rechi nel vestibolo per ricevere l’attrezzatura, affrettarsi ma senza correre”.
Laura guarda Camilla terrorizzata e esclama: “ Tocca a me, hai visto, hai sentito”? Devo andare, ciao, buona fortuna”. E cosi dicendo si dirige verso il vestibolo che si trova accanto al numeratore col numero che continua a lampeggiare in maniera ansiogena.
La ragazza si avvia verso l’uscita affrettandosi ma con calma e sembra quasi barcollare da non reggersi in piedi.
Camilla la guarda e la vede girarsi poco prima di scomparire dentro un androne scuro e salutarla timidamente con la mano aperta. Le sembra anche di vedere due grosse lacrime scenderle dagli occhi, ma forse è solo suggestione o il riflesso del suo stesso stato d’animo che, d’improvviso ha ripreso a percepire i sentimenti.
Si guarda attorno e si accorge dello sparuto gruppetto al quale ora vorrebbe accodarsi ma sa di non poterlo fare perché lei è in attesa per diversa destinazione. Nello stanzone non ci sono finestre, solo un lucernario sul soffitto dal quale arriva una luce diafana e ora, guardandolo, Camilla ha come l’impressione che entri più luce.
Si gira quasi di scatto verso un punto dal quale sente provenire delle voci e vede un gruppetto di ragazzi che entrano e si piazzano in un angolo. Parlottano tra di loro e sembrano presi dalla loro conversazione. D’un tratto uno di questi ragazzi si stacca dal gruppo, si gira, la guarda e si dirige con passo deciso verso di lei.
“Non mi riconosci”? “No”. “Sono …”.
“Non dirlo”. disse Camilla, mettendogli una mano davanti al viso come per fermarlo.
Camilla rimane un attimo confusa poi sembra che il viso le si illumini e prenda nel contempo un pallore mortale.
“Tu, sei tu veramente…? “Si, mi hanno detto che ti avrei trovata qui ed io non aspettavo che di ritrovarti tu non immagini quanto, ho conosciuto la tua anima tanto tempo fa e l’ho cercata fino a che non l’ho ritrovata in te ed ora tocca a te decidere”.
“Ma io sono…”. E qui Camilla si ferma. Non può rivelare nulla di sé, lo sa che non le è permesso e che se lo facesse rischierebbe di non poter più uscire da li, perciò tace. Si ferma in tempo.
“Lo so, me lo hanno detto, neppure io posso parlare di me, nessuno di noi può dire niente dell’altro, lo so bene. Ma mi hanno detto che se tu vuoi possiamo scendere insieme e ritrovarci laggiù ancora una volta, sempre se tu lo vuoi, lo vuoi? Devi solo dire di si. Non ho fretta posso aspettare tutto il tempo che vuoi ma se ti chiamano dovrai andare e potremmo non incontrarci mai più”.
Il numeratore si spegne. La voce metallica annuncia:
“Abbiamo terminato l’operazione di rientro del numero sette. Il numero 3285 si prepari, non daremo altri avvisi”.
“Tocca a me”. Camilla, ora, con sua stessa sorpresa, era agitata. Il ragazzo le prende la mano e le chiede di nuovo: “Lo vuoi? Devi solo dire si o no”.
Camilla guarda il numeratore che ora riporta il numero 3285 che lampeggiava sempre più in fretta. Era indecisa. Sapeva che se avesse risposto si, si sarebbe legata ancora ad un’anima della quale aveva da tanto tempo dimenticato l’esistenza. Ma ora che le si era ripresentata aveva capito di non essere capace di respingerla, che se l’avesse fatto non avrebbe mai più trovato quella pace che aveva trovato in quel posto che ora stava per lasciare. E poi l’attrazione che provava per quell’apparizione aveva qualche cosa di conosciuto e allo stesso tempo di cosi sconvolgente da farle sentire il sangue scorrere dentro ogni minimo recesso del suo corpo come non sentiva più da un tempo indefinibile.
“Si”. Rispose Camilla.
Di colpo, il soffitto si aprì ed entrò una luce abbacinante, le pareti sparirono e comparve una grande piazza con una fontana in mezzo e molta gente intorno.
La gente ballava, cantava e rideva e sembrava molto felice. Alberi altissimi si intravedevano da lontano e un fiume limpido e scrosciante, scorreva li accanto.
Camilla si ritrovò vestita di un abito a fiori rosa con scarpe e borsa in tinta e un grande cappello con una veletta bianca sugli occhi.
Luca indossava un completo blu, una camicia bianca impeccabile e sorrideva. Un auto li stava aspettando poco lontano. Sarebbero partiti per un lungo viaggio, assieme.
Il racconto finisce qui. Luca e Camilla ora sono consapevoli che hanno davanti un cammino lungo e difficile ma non gli importa. E non sanno che sarà lungo molte vite. E non sanno e non lo possono sapere, che continueranno a perdersi, a ritrovarsi, ad amarsi per un tempo senza tempo che si fermerà per il tempo che servirà alla loro anime di rincontrasi. Ancora.
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