Ho visto Mattia Santori in una recente puntata di Otto e mezzo, condotta da Lilli Gruber.
Il leader delle sardine rispondeva alle domande della conduttrice e a quelle, più provocatorie del direttore Sallusti.
In studio c’era anche la giornalista di La Repubblica, Annalisa Cuzzocrea.
Tanti dicono che si sta esponendo troppo, che i pesci devono stare muti, che il messaggio deve passare senza per forza aderire a tutte le ospitate che gli vengono proposte in questi giorni.
Lo vedo determinato a non farsi distogliere da quello che è il suo obiettivo: contrastare la destra xenofoba di Matteo Salvini.
Un obiettivo nobile che nel giro di pochi giorni ha avuto un soccesso sosprendente per come è riuscito a riempire le piazze di molte città d’Italia. San…Tori contro Sal…Vini. un bel match.
La novità certo intriga i giornalisti che sono sempre sul pezzo per accaparrarsi l’audience.
Ma Mattia Santori piace. E’ un ragazzo sorprendente, un uomo intelligente, pacato, all’apparenza misurato e non sembra neppure appartenere a questo secolo.
Ha una certa aria evangelica, è vero. Lo ha detto Sallusti mentre io stessa lo pensavo.
Strana telepatia. Ho avuto l’impressione che il giornalista lo incalzasse ma non troppo, insomma che gli fosse simpatico, che avrebbe quasi voluto essere nei suoi panni.
La Cuzzocrea lo difendeva, un po’ per quell’istinto materno che Mattia certamente ispira alle donne ma anche e soprattutto perché non si meritava l’acredine strapolitico-mediatica dello scafato Sallusti. Non ha risposto per lui che si difendeva benissimo senza difendersi, però lo ha certamente difeso con ottime argomentazioni.
Perché, sembrava volerlo ribadire, lui è un non violento. La nonviolenza è la sua caratteristica principale e la non violenza si basa su molte cose. Anche e soprattutto sull’atteggiamento, la postura, l’espressione, il sorriso, la limpidezza dello sguardo.
E anche il modo di vestire. Mattia portava un bel maglione non violento. Un colore neutro e riposante, nessuna ricercatezza ma un abbigliamento non abbigliato, da vicinanza umana.
Inutile dire che a me piace. Già, si fa presto ad entusiasmarsi per un personaggio cosi carino. Ma dietro a lui ci sono tanti altri ragazzi e ragazze, uomini e donne che credono in un principio fondamentale della nostra democrazia: l’antifascismo.
Quello da cui è nata la nostra Costituzione.
E il fascismo del terzo millennio può non avere nulla a che fare con la dittatura tragica che l’Italia ha conosciuto.
No,certo, ma può ripresentarsi sotto forma di autoritarismo velato confortato da baci ai crocifissi, studiate messinscena per accapparrarsi consensi.
E poi sfociare in una serie lunghissima di “ismi”. Uno per tutti: il razzismo.
Abbiamo un bel dire che il razzismo in Italia non ha cittadinanza.
Non sembra affatto essere cosi e lo si coglie in molti atteggiamenti e manifestazioni, come, per esempio, i tanti messaggi di odio inviati tramite i social alla senatrice Segre, scampata all’Olocausto.
Mattia e le sue “sardine” è un simbolo di un risveglio dell’Italia e di una presa di coscienza dei cittadini che si può fare qualcosa per contrastare l’odio dilagante.
Si può riempire le piazze di sardine disegnate e multicolori e si può affermare in Tv con un largo sorriso, che, no, signori, basta, ne abbiamo piene le scatole di politica urlata, di propaganda che esce da ogni dove e si intrufola nelle nostre vite.
Io non so se Mattia sbagli a sovraesporsi, lo deciderà lui quando negarsi alla curiosità di chi vuole saperne di più su questo fenomeno che sta prendendo sempre più piede.
Lo ha detto lui stesso: ad una domanda di Lilli su cosa pensa che farà tra una anno, ha risposto che spera di tornare alla sua vita normale.
Io glielo auguro e spero che anche l’Italia possa tornare alla “normalità” e mettersi dietro le spalle questo clima opprimente di qualche cosa che sta sempre per succedere e che non si capiscebene cosa sia ma fa un po’ paura.
Basta. Vogliamo tornare a sperare nel futuro. E la bella faccia di Mattia è un buon inizio.