Genio

Loro ridevano dell’unica cosa che amavo –
Quella collina a forma di triangolo appesa
Com’è al Big Forth. Dicevano

Che ero incatenato da siepi di biancospino
Siepi di fattoria e non conoscevo il mondo.
E invece sapevo che la porta d’accesso che l’amore dà sulla vita
È la stessa porta d’accesso, ovunque.

Imbarazzato da questo mio amore
Fuggii da lei e la chiamai cunetta
Sebbene lei mi guardasse con un sorriso di viole.

Ma ora sono tornato qui nell’abbraccio dei suoi tralci.
La rugiada mattutina di un’estate indiana riposa
Sugli steli imbiancati delle patate –
Che età ho?

Non so che età io abbia
Non ho un’età mortale;
Non so nulla di donne,
Nulla di città,
Ma non posso morire
Senza oltrepassare queste siepi di biancospino.

Patrick Kavanagh

Ho scelto questa poesia di un poeta irlandese, per cambiare un po’ orizzonti, a dire la verita mi sono un po’ stancata di parlare di tragedie.

Mi piace in modo particolare e, se vogliamo, ha attinenza con l’attualità perché Patrick Kavanagh è stato un po’ discriminato e ritenuto a lungo un poeta “minore” tra la vasta scelta di grandi poeti che il suo paese ha “sfornato”.

Si diceva di lui essere un po’ eccentrico, strano, fuori dal giro dell’intellighenzia di intellettuali del suo tempo e per questo anche un po’ snobbato.

Niente di nuovo, succede spesso che il genio non venga riconosciuto in vita, da quì il famoso detto latino.

Ma col tempo gli irlandesi lo hanno capito e gli hanno dedicato una statua. Seduto sulla panchina dove usava fermarsi a comporre guardando il canale e dove ha composto versi suggestivi.

Una delle sue poesie è diventata una canzone famosa e molto gettonata e cantata dai più grandi interpreti: Raglan road.

Insomma …”loro ridevano” …cosi Kavanagh ha testimoniato con versi leggeri, come si può anche non essere capiti o addirittura dileggiati e rimanere se stessi e sentirsi parte del tutto, di quell’universo piccolo o infinito che, a seconda di come lo si percepisce, può espandersi e uscire dai propri confini fino a produrre perle di intelligenza e sensibilità che solo l’anima di “un genio” può produrre.

 

“Commemorate me where there is water”

5 commenti su “Genio”

  1. Non ho sensibilità per la poesia ma questo post mi è piaciuto e mi ha anche, diciamo, rilassato.
    Credo che in fondo siamo un po’ tutti stanchi di parlare e discutere sulle tragedie. Tuttavia non cerchiamo altri spazi. Forse la poesia non è molto “commentabile”, ma questo è comunque il primo commento al post.

    R.
    grazie Francesco è un bel commento.

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  2. Bella la poesia, dovevano essere splendide “le siepi di biancospino”
    Bella anche la statua in quella posizione di assorto relax.
    Altre statue ricordano grandi poeti, quelle di Pessoa a Lisbona, quelle di Joyce a Trieste, benché di bronzo sembrano palpitare di vita, quasi a volerti tenere compagnia.

    R
    è vero, sembra “palpitare di vita, bella espressione anche a me da quell’impressione.

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  3. Ecco un’altra poesia di un poeta irlandese

    Aedh desidera il tessuto del cielo

    Se avessi il drappo ricamato del cielo,
    Intessuto dell’oro e dell’argento e della luce,
    I drappi dai colori chiari e scuri del giorno e della notte
    Dai mezzi colori dell’alba e del tramonto,
    Stenderei quei drappi sotto i tuoi piedi:
    Invece, essendo povero, ho soltanto sogni;
    E i miei sogni ho steso sotto i tuoi piedi;
    Cammina leggera, perché cammini sui miei sogni.

    William Butler Yeats (Dublino, 13 giugno 1865.

    R.
    beh, Yeats non ha certo subito discriminazioni, le sue poesie (come questa) sono stupende, ma non gli sono certo mancati riconoscimenti, a differenza di Kavanagh che è stato bistrattato e per molto tempo quasi ignorato. Comuqnue grazie Alessandro per averlo ricordato è sempre un piacere leggere poesie come questa.

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  4. Anche Johon Keats non ebbe il giusto riconoscimento al suo tempo, considerato dopo tra i più grandi poeti del Romanticismo.
    Ecco una sua poesia:

    Bright star, would I were stedfast as thou art—

    Not in lone splendour hung aloft the night

    And watching, with eternal lids apart,

    Like nature’s patient, sleepless Eremite,

    The moving waters at their priestlike task

    Of pure ablution round earth’s human shores,

    Or gazing on the new soft-fallen mask

    Of snow upon the mountains and the moors—

    No—yet still stedfast, still unchangeable,

    Pillow’d upon my fair love’s ripening breast,

    To feel for ever its soft fall and swell,

    Awake for ever in a sweet unrest,

    Still, still to hear her tender-taken breath,

    And so live ever—or else swoon to death

    Fulgida stella, fossi fermo come tu lo sei
    ma non in solitario splendore sospeso alto nella notte,
    a vegliare, con le palpebre rimosse in eterno,
    come paziente di natura, insonne eremita,
    le mobili acque al loro dovere sacerdotale
    di puro lavacro intorno a rive umane,
    oppure guardare la nuova maschera dolcemente caduta
    della neve sopra i monti e le pianure.
    No – pure sempre fermo, sempre senza mutamento,
    vorrei riposare sul guanciale del puro seno del mio amore,
    sentirne per sempre la discesa dolce dell’onda e il sollevarsi,
    sempre desto in una dolce inquietudine
    a udire sempre, sempre il suo respiro attenuato,
    e così vivere in eterno – o e no venir meno nella morte.
    (Tradizione Giorgio Dentali)

    R.
    beh, che dire? Mi sono quasi penntita di aver pubblicato la mia Profumo d’arancia…(composta tra ieri sera e qusta mattina, composta…come la marmellata d’arance).
    Bella, intensa e per forza romanticissima questa splendida poesia di Keats.
    Però non riconoscere o discriminare è una cosa diversa, Kavanah è stato a lungo preso in giro e considerato quasi come “lo scemo del villaggio”.

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