L’importante è finire…bene

Oggi sono due anni esatti da che la Russia ha invaso l’Ucraina e oggi la nostra premier Giorgia Meloni è a Kiev proprio per sottolineare la volontà dell’Italia di stare con chi è stato aggredito.

Sappiamo bene però che nella coalizione di governo c’è chi rema contro, un certo Matteo Salvini, dopo le sue recenti esternazioni sulla morte di Navalny, sembra stare più con l’aggressore che con l’aggredito. La sua è una posizione molto scomoda che farebbe bene a raddrizzare, se può, al più presto, il mondo ci osserva.

Ma ce ne sono tanti come lui in Italia che vedono con fastidio se non addirittura con una certa rabbia malcelata, la posizione ufficiale del governo italiano nei confronti di Kiev. Ma si, ma in fondo noi che cosa c’entriamo? Perché ci mettiamo in mezzo? E poi parte la litania dei soliti “ma e allora” ?

Indubbio che ognuno la può pensare come vuole, ma ci sono dei fatti che non possono essere guardati attraverso due mani appoggiate sugli occhi: gli ucraini vivevano in pace (relativamente) da quando il loro paese è stato dichiarato indipendente e sovrano e però c’è chi sobillava sottotraccia che questa indipendenza non s’aveva da fare.

La Resistenza ucraina ha dimostrato che non ce n’è più per gli imperialismi e i diktat, la libertà non ha prezzo e quello che stanno pagando è altissimo.

L’opposizione a questa idea però, da noi, è piuttosto forte. c’è chi parla di “guerra per procura” e di ragioni “valide” della Russia per attaccare. La conseguenza è che in Italia si è formata una netta cesura tra chi è favorevole agli aiuti e chi sarebbe per non dare seguito a nessuna richiesta di armi e lasciare che se la sbroglino da soli e chi vivrà vedrà.

Questa seconda posizione é, a mio parere, piuttosto superficiale. In più è viziata da una idea di sottrarsi alla possibilità che si possa in qualche modo venirne coinvolti.

La realtà è che lo siamo già da due anni, da quando fin da subito il nostro governo ha dichiarato da che parte sta e cioè con gli aggrediti.

In questi due anni, molte “teste fini” hanno fatto molti proseliti con le loro teorie contrarie all’ingerenza negli “affari interni di altre nazioni, non sempre però “gratuitamente”.

Perché se “L’importante è finire” e tutti vogliamo che la guerra finisca, per gli ucraini, l’importante è non finire ancora dentro la spirale russa che li fagociterebbe ancora e i tanti morti sarebbero davvero morti per niente.

La pace la vogliamo tutti, tranne i fuori di testa. Ma la pace non deve essere un compromesso al ribasso per un popolo che si sta difendendo da due anni con estremo coraggio e eroica determinazione.

Deve essere una pace giusta e non un cedere alla volontà del più forte, ma una seria trattativa che nasca dalla volontà di fermare le armi ma anche di riconoscere da parte degli aggressori che la salvaguardia dell’indipendenza e della libertà è un valore irrinunciabile. Dopo, si tratti.

Parole

Le parole volano e  accarezzano

e morbide come piume fluttuano.

O sferzano come bufera sul viso.

Sono cosi le parole delicate o crudeli

parole che incantano  ammutoliscono

oppure parole che uccidono.

Danno voce all’anima o al cuore

o alla rabbia  all’odio al furore

e offendono  deridono  mirano

puntano e sparano.

Oppure sono come carezze

e assomigliano al suono

di conchiglie appoggiate

all’orecchio dove si sente

il mare e il silenzio che

non assomiglia a niente

se non all’eco di un dolore.

Calvario

Ma perché Ludmilla Navalnaya dovrebbe accettare di seppellire il figlio di notte, al buio, senza nessuno, in forma privatissima come se lei dovesse vergognarsi di lui?

Lei è la madre di questo signore che ha lottato e predicato la libertà per il proprio paese, che non ha ucciso né fatto del male a nessuno, ma ha semplicemente espresso la sua idea di libertà e per questo ha pagato con la vita.

Merita rispetto, come merita rispetto la madre, il suo dolore, il calvario che sta vivendo in questi giorni è inenarrabile, inconcepibile. Possibile che non ci sia pietà neppure per lei?

Come si può chiederle di seppellire il figlio nel giardino sul retro come se si trattasse del gatto?

O di un pesce rosso? Ormai è morto, Alexey Navalny, ma da morto, evidentemente, al regime fa ancora più paura che da vivo. E’ vero, i morti a volte, possono diventare più vivi di quando lo erano.

Doppipesatori

Il presidente Usa non è nuovo alle parolacce, gli scappano, questa di oggi nei confronti del leader russo è grave, gravissima, giustamente il suddetto si è risentito, ha detto che Biden è stato “rude”, rozzo, maleducato, perdinci. E anche perbacco.

Ed ha ragione, lo devo dire, ha ragione. Ma quanta enfasi su questa ennesima sparata di Joe, Joe le spara cosi anche un po’a casaccio però c’entra sempre il bersaglio e fanno scalpore.

Ma quando le spara il suo omologo russo, beh, diciamo che ne dice anche lui ma ridondano di meno, beh si potrebbe anche dire ubi maior, ma non sarebbe adeguato: i due sono alla stessa stregua, potenti entrambi, uno forse anche un po’ pre potente, ma divago.

Insomma, dicevo, quando Putin disse di Zelensky che era un “nazista che si circonda di una banda di nazisti e tossicodipendenti” (“al governo c’è una banda di nazisti e tossicodipendenti”), la notizia non ha avuto lo stesso risalto. E notare che Zelensky è di origine ebraica e i suo familiari sono stati uccisi dai nazisti.

E’ forse meno grave di quello che oggi ha sparato Joe contro il leader della Russia? Mah, non saprei non giudico, lascio giudicare a tanti soppesatori di doppipesismi…negli altri. Un po’ la storia della trave e della pagliuzza.

Ufo Matteo Robot

Salvini Matteo, ministro della Repubblica, per ben due volte, e vicepremier idem…vatti a nascondere in qualche resort africano e restaci un pezzo, forse hai bisogno di una vacanza.

Carlo Calenda gli ha mandato un post piuttosto esplicito: “hai rotto le balle” che non è gergo calcistico ma piuttosto una sana critica politica basata sulle esternazioni dell’ineffabile ministrone sulla dichiarazione della moglie di Navalny …la capisce, dice, cavolo certo e come no? ma devono decidere i medici e i giudici come è morto suo marito.

Caspita che dichiarazione coraggiosa, direi temeraria. Non teme nessuno il nostro, è invincibile come una corrazzata, ma le “balle”, quelle che cita per intenderci, elegantemente ma con proprietà espressiva, Calenda, dimostra di non possederle. O perlomeno, di essersele momentaneamente “sganciate” o addirittura perse per il caligo, come si dice da noi. Di sicuro la premier ne ha un corredo più “consistente”.

Ma bisogna capirlo, povero, ormai lui “nella media borghesia italiana occupa una società”, ha compiuto l’età della ragione e ormai gli attributi li mostra con parsimonia. Eccheccaspio…

Farebbe una bella coppia con Virginia Raggi, la quale ha partecipato alla veglia per Navalny ma ha anche detto che è ora di smetterla di mandare armi agli ucraini e che deve attivarsi la diplomazia. Bella frase, effetto assicurato nei quattro gatti (o sorci) che si aggirano ancora in tenuta anti cinghiale attorno ai cassonetti della città eterna: per loro, la ex sindaca ha rappresentato la pacchia, la considerazione è d’obbligo.

Salvini e Raggi, insieme potrebbero formare una delegazione, qualche topo e gatto al seguito lo trovano e andare…andare an dare…a fare i diplomatici, ci aspettiamo che vengano ricevuti con gli onori che meritano, forse qualcuno in loro onore potrebbe sparare qualche salva (salvina) di cannone o qualche raggio fotonico ..”.Raggi laser che sembran fulmini
È protetto da scudi termici Sentinella lui ci fa”…

Ufo Matteo Robot e Virginia potrebbero davvero cambiare il corso della storia. Ma, Matteo, devi essere meno diplomatico e più Ufotico, altrimenti finisce che qualcuno ti fa le scarpe o meglio …le mutande…e allora altro che ” scudo termico ti serve” .

Sgherri

Alla madre di Alexiey Navalny non è permesso di entrare all’obitorio per vedere un’ ultima volta il figlio. Non le rispondono quando chiede se si trova li o dove, poi le dicono che non può entrare senza dare altre spiegazioni e il suo avvocato che l’accompagna viene addirittura spinto fuori dalle guardie.

Questo narra il Guardian oggi e racconta l’odissea di questa donna che aveva un figlio in carcere da una vita, che doveva scontare 19 anni di galera per non meglio identificate colpe di “estremismo”, che era stato recluso in una colonia penale in Siberia, notoriamente un posto temperato e dove gli uccellini cantano da mane a sera e la imminente primavera prometteva prati ricolmi di ranuncoli e nontiscordardime per allietare la vista dei detenuti.

Immagino il viaggio che questa donna ha dovuto intraprendere per arrivare in quella terra cosi “amena” e inarrivabile e immagino lo scoramento nel sapere di non poter vedere per un’ ultima volta la salma di quel figlio cosi tenacemente e testardamente devoto alla causa della libertà.

Si sarà chiesta come mai proprio a lei fosse toccato un figlio cosi testardo, cosi incurante della paura, cosi eroico nella sua manifestazione costante della sua ricerca di libertà? Forse si, tante volte, ma ne sarà stata orgogliosa o avrà patito le pene dell’inferno pensando a quel figlio cosi tenace e però cosi braccato e punito per il suo pensiero libero?

Forse tutte e due le cose.

Certo che gli uomini sono ben infami quando arrivano a negare ad una madre anche la possibilità di vedere un figlio morto. Mi ricorda un’altra madre, alla quale è stato “permesso” di vedere il figlio in croce e quanto questa madre sia simile a Lei per la sofferenza che deve provare e quanto la sofferenza di una madre possa venire ignorata del tutto da uomini senza cuore e senza morale, di ghiaccio come la materia che li circonda, esecutori di ordini dall’alto, senza Dio e senza altra fede che il proprio meschino piccolo tremebondo interesse personale a sopravvivere in un mondo di sgherri. Eh, già infatti: “il coraggio uno non se lo può dare”.

Un piccolo mondo infame e senza speranza quello che nega ad una madre un ultimo abbraccio alla salma di un figlio, un mondo disumano che sta diventando prateria per lupi affamati e predatori. E chi grida:” viva il lupo”, non debba mai subire l’infamia di una porta sbattuta in faccia davanti al dolore più grande.

Compagno di viaggio

Ci sono dei luoghi, come persone, ai quali lasci un pezzo dell’anima. E ci sono luoghi che hanno essi stessi l’anima. E non la ritrovi la tua anima, quella che lasci nei luoghi o nelle persone, mai.
Resta con loro e ti manca per sempre e per quanto ti sforzi di metterci una toppa trovi sempre che non è mai adeguata e rimane sempre fuori qualche pezzettino che gronda sangue.
Un luogo può diventare solo un ammasso di ricordi, alla rinfusa, senza precisi contorni.
Soprattutto quando quel luogo è scomparso o è stato stravolto nel tempo. E non ci lasci solo un pezzo d’anima ma anche un pezzo di cuore. Lo sai che non ti sarà mai restituito ma non riesci a fartene una ragione.
Perché ragione non c’è. E’ irragionevole non dimenticare, lasciare che un luogo o una persona ti tengano per sempre prigionieri ma non puoi farci niente. Ti insegue ovunque quel brandello di anima e ti ritrova sempre e ti chiede disperata di essere riammessa a far parte a pieno titolo dell’anima intera ma non si può più riattaccare quel pezzetto, non esiste collante che possa riuscirci, non combacia più, non fa più parte di te è spurio, è irrimediabilmente alieno.
Tanto tempo fa, ma il tempo è sempre tanto anche dopo un solo minuto, anche un secondo,
quando ti allontani da te. Perché quel posto mi corrisponde mi si attaglia è un abito del quale mi sono spogliata e che ho lasciato li, per terra e non ho mai più potuto raccoglierlo. Ed è rimasto così per tanto tempo o anche solo un minuto o un secondo o un’eternità. Non importa.
Sta li. Il posto, le persone, l’anima e le anime, mie e loro. Fuse e allo stesso tempo sciolte da
qualsiasi vincolo.
Mi hanno portata via da li e anche quando ci sono ritornata, dopo, quel luogo era ogni volta
diverso, non mi apparteneva più. Si era allentato quel legame. Non era dipeso da me che ero
troppo piccola per decidere ma i posti sono permalosi, quasi quanto le persone e non dimenticano mai. Quando li lasci, li hai lasciati e non è più niente come prima. E spesso non ti riconoscono o fingono di non conoscerti per non lasciarti illusioni, per allontanarti dal dolore. E’ li l’anima dei posti, in quel dolore.
Non si misura il dolore.
Come descrivere un posto che trattiene un pezzo della tua anima? E perché? Farebbe male
descriverlo, sarebbe come girare un coltello in una ferita che non si è mai rimarginata.
Eppure anche i ricordi dolorosi contengono delle verità che sarebbe giusto che scoprissimo. Ma se le tengono molto ben strette, le difendono perché i luoghi sanno, conoscono e capiscono tutto.
Ma, spesso, tacciono. Hanno ragione. E’ meglio tacere perché tanto non capiremmo o potremmo equivocare e sarebbe ancora più doloroso.
La verità dei luoghi rimane scritta nella loro anima. Io l’ho cercata per tanto tempo e la cerco
ancora. Ma so che non la troverò mai. O forse è anche questa una speranza, sperare di non
trovarla mai la verità. Più di cosi non potrebbe far male la verità che non conosciamo. E allora a che serve cercarla? Per farci del male. Perché farci del male è anche un modo per soffrire di meno che aspettare che sia qualcosa al di fuori di noi a farcelo. Perché tanto, soffrire per soffrire preferiamo soffrire per cause che dipendono dalla nostra volontà piuttosto che da quella di estranei.
Siamo tutti estranei. Sempre, Siamo unità di dismisura. Siamo disuniti anche quando crediamo di essere uniti. Io, tu, noi, voi etc. etc.
E sono i luoghi quelli che potrebbero unirci ma quando li lasciamo non si fanno più riprendere e noi restiamo o diventiamo estranei a noi stessi per sempre.
Quello era il mio posto. Ma non hanno voluto riconoscerlo e non si è trattato solo di portare via una bambina da un luogo che aveva imparato ad amare e che avrebbe sofferto se ne fosse stata allontanata. Si trattava di molto di più. Ma ormai, cosa serve andare ancora a rinverdire quel dolore, cosa serve riportarlo in vita?
Quel dolore è simile, molto simile ad altri dolori che sto cercando di allontanare, di annacquare di rendere inoffensivi. Ma, forse, non posso e non voglio allontanarli perché sarebbe come allontanarsi ancora e, forse, per sempre da quel luogo.
Non lo descriverò per quello che era o quello che era o è nei miei ricordi. Non voglio riportare a galla quei sentimenti di rabbia, di esclusione, di irrefrenabile e incontenibile amarezza che non percepivo allora, non subito almeno, dopo l’allontanamento forzato. Perché non lo sapevo che era un addio, definitivo addio, addio per sempre anche se ci sarei ritornata, molte volte e avrei rivissuto le mie prime emozioni nell’accostarmi alla mia vita, non ci sarei ritornata più come un vero ritorno.
Ma voglio tornarci per provare a capire dove precisamente tutto è cominciato e dove, senza
volere, ho imparato la sofferenza.
E’ cominciato tutto un giorno di giugno, la mattina molto presto. Una cerimonia, abiti della festa, qualche fiore, i miei nonni più agitati del solito, qualche dolce mai assaggiato prima e qualche bottiglia di un liquido giallastro e dolciastro, sulla tavola, sopra la tovaglia della domenica anche se non lo era.
Avrei voluto andarmene fuori, come sempre, a seguire il volo degli uccellini tra i rami del pioppeto, ad accarezzare il tronco ruvido e familiare del ciliegio che stava mettendo i frutti. Lo sentivo che mi chiamava attraverso le finestre spalancate. E a correre nel prato e cogliere i ranuncoli e le margherite e intrecciarli per farmene collane. E invece no.
E qualche persona estranea entrava, chiedendo “è permesso”? e i nonni a rispondere con larghi sorrisi:” siii, avanti, avanti..” E poi lui. Un uomo mai visto. E parlava e sorrideva e mia madre gli rispondeva e gli sorrideva, socchiudeva ogni tanto gli occhi e buttava all’indietro la testa e non si accorgeva di me.
Ed è li che è sparito, quel posto, in quei sorrisi. Ma io non lo sapevo, né avrei potuto immaginarlo piccola com’ero e fossi anche stata più grande non avrebbe fatto alcuna differenza. I bambini non decidono con chi stare sono sempre gli adulti che decidono per loro, per il loro bene e anche perché così va il mondo. Sono i grandi che sanno quel che è giusto e quel che è sbagliato. Quando lo sanno e quando non è, semplicemente, più comodo per loro.
Ma lo si sa che per quanto si cresca e si consideri e si giri e rigiri la faccenda e la si cerchi di
inquadrare in un contesto che faccia piacere a chi deve avere una visione globale, matura,
consapevole delle cose e non si sente in nessun modo in colpa per aver, anche inconsapevolmente ( ma non può essere mai così), causato della sofferenza diluita nel tempo e mai sedimentata ma rimasta sempre a galla, fa sempre male ricordare.
Eppure voglio ricordare per non lasciare che la vita che passa mi porti via del tutto quel pezzetto di anima ancora incastrata tra quei mattoni ormai sbriciolati e in quel terreno, ora arido, un tempo curato e fiorito e rifiorito e in quel paesaggio sconvolto, senza memoria. Se non la mia.

Nel pomeriggio di quel giorno, finita la cerimonia a cui io non ho assistito che solo casualmente partecipe a qualcosa che non sembrava interessarmi, gli invitati sono passati ai saluti, rapidi quasi frettolosi e siamo rimasti in ristretta compagnia, quasi tutti noti, tranne uno.
Quell’uomo. Lui era ancora li. E continuava a sorridere alla faccia sorridente, un po’ accaldata sotto al cappellino di pannolenci con una veletta grigia sollevata sulla fronte e la rosa sul taschino della giacca del tailleur color cielo che cominciava ad appassire, di mia madre.
Erano due, ora. Due che formavano una famiglia ed io appartenevo alla famiglia appena formata ma lo avrei saputo solo qualche tempo dopo, quando me ne resi conto pur nell’inconsapevolezza di quella prima infanzia che stava per accedere alla seconda, senza preavviso.
Due auto nere attendevano nella stradina. Lucide, invitanti. Si va a fare un giro. Mi dissero. Ma
appena dentro, sul sedile dietro accanto ad uno zio, il più giovane, dopo aver salutato i nonni che piangevano, già sentivo che mi mancavano.
Ora che ci ripenso e che rivedo la scena si sta facendo strada un accenno d intuizione sul perché di tante cose.
Per esempio perché, da sempre, ho dei lievi sobbalzi al cuore ogni qualvolta ho l’impressione che qualcuno non mi stia dicendo tutta la verità? O che non mi stia precisamente mentendo, ma che non mi stia raccontando le cose come andrebbero raccontate.
Credo di aver sviluppato un intuito particolare verso le bugie o le mezze verità. Mi sale quella
stessa inquietudine che provai allora, solo qualche giorno dopo quella cerimonia e quel viaggio nell’auto nera fiammante e quei sorrisi reciproci. Distanti da me.
Poi me lo dissero, infine, che io ero la bimba di casa e loro due mamma e papà. Già. Di una lo
sapevo dell’altro neppure lontanamente lo immaginavo.
E si che di immaginazione ne avevo e ne ho.

Mi dissero in tanti in seguito, dopo, durante e anche molto dopo, persino ora, che è tutto apposto, cosa vai a rimescolare? Cosa vai a tirar fuori? Ritieniti fortunata e basta così.
Ho scoperto in cosa consiste la fortuna. E’ una scoperta recente, recentissima. Proverò a spiegarlo.
Forse non sarò esauriente la materia è troppo vasta, ma per me la fortuna è capire quando è il momento di smettere di cercare e trovare dentro di noi il compagno di viaggio che cerchiamo tutta la vita. E se anche lo troviamo non è detto che non ci serva l’aiuto della nostra forza interiore che tutti abbiamo ma,a volte, lo scordiamo e ci disperiamo. La fortuna è dunque scoprirlo e
trasmetterlo anche agli altri che percepiscono quella forza e serve anche a loro per avvicinarsi alla propria.
Di quel luogo restano solo una spianata di cemento e qualche albero orfano e macilento. Intorno: strade. Strade che non portano in nessun luogo se non hai già un luogo dentro che ti accompagna nel viaggio.

La città che respira

Quella città di me bambina

Non ha più gli occhi che

la scoprivano muti.

Non ha più voce che la

Notte serrava la gola ed

Il respiro fra le pareti

Di quelle vie strette

Quasi unite come

Amanti  timorosi

Di perdersi.

Ed il campo con la statua

e la fontana e

e i giochi e le corse e le risa

e la mia mano piccina dentro

quella mano che stringevo

per non perdermi mentre

accecata guardavo lassù

le guglie e i colombi che

mi sfioravano appena

e me ridente su quella

seggiola nera alta

sulla riva che quasi mi

lambiva i piedi e gli

uomini  a poppa delle

gondole e il fumo bianco

che saliva dall’acqua

di sera nella calura d’agosto.

E mia madre che sorride

Dall’alto del ponte e mi chiama

E arranco sospinta dalla gioia

E da quel cielo azzurro sopra

Di lei su quei gradini enormi

Fino alla cima, fino

Alla mela rossa a premio

Dello sforzo.

Venezia e mamma.  Due

Anime distinte e unite

Dal tepore di uno sguardo

E il calore di una mano.

Un uomo coraggioso

Ho appena appreso della morte di Alexiej Navalny, gli oppositori ai regimi non hanno vita lunga, non è arrivato a compiere 50 anni (ne aveva 47) . Forse i radicali liberi?
Alimentazione scorretta, abuso di fumo o altri vizi? No. A un mese dalle elezioni presidenziali in Russia, l’oppositore di Putin muore nella sua prigione di ghiaccio in Siberia, dove era stato traferito da poco per, pare, un’embolia. Pare si sia sentito male subito dopo una passeggiata…forse che prendere i freschi (come si dice da noi) gli abbia fatto male?
Immagino che i sanitari del carcere abbiano cercato di tutto per rianimarlo ( e lo scrivono i giornali) ma, guarda quando si dice il caso, senza successo!

Purtroppo un uomo coraggioso e addirittura temerario, ha pagato con la vita il suo ideale di libertà che non ha cittadinanza in un paese, grande o immenso fin che si vuole, ma che ultimamente fa paura. Al mondo intero e annessi e connessi.
Sembra quasi che “il destino” abbia voluto lanciare un ammonimento ai russi e al mondo: signori, non avrete altro zar al di fuori di “lui”.

Mi dispiace, veramente, per la famiglia ma anche per tutti noi, il mondo ha perso una persona di grande valore e il mondo di persone di valore ha veramente molto bisogno.

https://www.theguardian.com/world/2024/feb/16/russian-activist-and-putin-critic-alexei-navalny-dies-in-prison
https://www.open.online/2024/02/16/morte-alexei-navalny-russia-reazioni-internazionali/

I vanagloriosi

Comunemente si glorificano davanti a chiunque gli capiti a tiro, sono i vanagloriosi perché la gloria che si intestano in ogni occasione è vana. Vana perché se la inventano a proprio uso e consumo e l’autostima che hanno al top, guadagni ancora in altezzza.

Ma a sentire loro non è affatto cosi, anzi, sono “persone umili” o al massimo consapevoli del proprio valore ma senza sfarzo. Uno di questi, tanto per citare qualcuno di noto è l’ex presidente Giuseppe Conte.

Il prototipo dl vanaglorioso. Qualsiasi cosa dica è sempre e comunque un complimento implicito rivolto a se stesso. Lui stesso è un complimento vivente…a se stesso.

Ma guardatelo, sembra il famoso Pippo della ormai antica canzoncina…solo che Pippo (Giuseppe) Conte lo sa…eccome se lo sa. Solo se ne infischia perché non è solo vanaglorioso ma anche impudente. Come, del resto tutti i vanagloriosi.

Si è molto arrabbiato, strano per una persona cosi “mite” come lui pretende di essere, perché è stata istituita finalmente una commissione per indagare sulla sua gestione del Covid, si è sbracato ad insultare alcuni parlamentari accusandoli di voler fare campagna elettorale ai suoi danni.

Ma di che ha paura lui e il suo buon ministro Speranza? Che esca la loro inettitudine? Se hanno lavorato bene non devono avere paura di nulla.

Ma, dicevo, i vanagloriosi non permettono a nessuno di mettere in dubbio le loro, spesso solo millantate “grandi capacità”, ma come si permettono? E promettono sfracelli.

Eh si, e a volte mantengono perché i vanagloriosi sono anche molto vendicativi e quando si ha a che fare con uno di loro, bisogna attendersi che facciano qualsiasi cosa per ripristinare agli occhi del mondo ( ed ai propri) la loro (vana) “gloria”.

Come per esempio cecare tutti i mezzi per millantarla ancora. Inutile dire che i dittatori sono i primi vanagloriosi, vedi, per citarne uno a caso …Putin.

Da qualche giorno, dopo le sparate del suo sodale americano e la famosa intervista del prezzolato altro sodale di Trump, non fa che sviolinare quanto lui e sempre lui sia bravo buono bello e intelligente…finiremo col crederlo? Mi sa…ma io no, decisamente non gli credo. Si sappia. Con me, Mr. Putin la tua vanagloria è proprio vana.