Non si fa

Quel gesto subito dalla giornalista Greta Beccaglia mentre era in diretta televisiva di fronte allo stadio di Empoli, è un reato: si chiama violenza sessuale e non c’è da scherzarci sopra.

Quindi non si tratta di una cosa da nulla, una cosa della quale, secondo alcuni, andare quasi “orgogliose”. Ma si dai non te la prendere…le ha detto il giornalista che stava dall’altro capo del filo e che ha visto la scena in diretta.

Lei se l’è presa eccome. Ma si è presa anche una manata sul sedere e anche in altre parti del corpo, pare, e non le è piaciuto per niente.  Una vera toccata e fuga che però è stata immortalata dalle telecamere di sorveglianza e cosi la fuga è finita presto ed ora le Forze dell’Ordine, pare, hanno identificato il manomortista.

Poveraccio, pentito e contrito, pare, si pente e si scusa, non sa, dice, che cosa gli è preso.

Ci proverei io a dire cosa “gli è preso”, non me ne vogliamo i tanti che in questi giorni si sono affannati a dire alla bella giornalista di “non prendersela”…e che sarà mai? Al massimo ricambia la manomorta con altra manomorta e falla un po’ finita li…(l’ho letto, si non me lo invento).

Si tratta di gesto ignobile, di potere, derivante dal francese main morte che indicava la mano che trattiene spasmodicamente i propri averi e la mano morta (tagliata) del servo della gleba che veniva portata al signore per dimostrare che era morto e lui poteva disporre a piacimento dei suoi poveri averi, se non aveva figli maschi, e anche i beni di enti ecclesiastici o civili sui quali lo stato non poteva mettere le proprie di mani…vive.

Ma ho molti dubbi che quel “signore” avesse presente le implicazioni storiche, psicologiche, giuridiche, morali che sottendono a quel gesto. Macchè, lui ha solo visto un bel culo e lo ha toccato.

Una donna, bella giovane e ” persino” giornalista cosi a portata di mano(morta) non poteva non aspettarsi che di essere palpeggiata proprio li dove non batte il sole o anche dove batte, davanti a tutti e di essere anche derisa da quelli che passando vedevano e caldamente approvavano lanciandole anche per soprappiù, dei “complimenti” molto espliciti.

E lei che ti fa? Gli si rivolge dicendo (più o meno) che non si fa, ennò, signori, non si fa proprio.

Brava Greta! Non si fa, hai ragione, n o n  s  i   f a, punto.

E ora chi lo ha fatto e lo farà (oh se lo farà) sappia che è un gesto infame, volgare, indegno di un essere umano che vuole definirsi civile, un gesto bestiale di una violenza inaudita perché gratuita e senza senso se non quello di dimostrare il proprio “potere” nei confronti di una donna che sta per i fatti propri e non si aspetta di ricevere certi “apprezzamenti” e non li chiede e non li apprezza, no manco per nulla!

Mi auguro che il giudice non si lasci incantare dalle scuse portate a discolpa dal gentiluomo di passaggio che si è sentito “in potere” di dare quella manata sul sedere di Greta. E che gli infligga una pena adeguata e risarcitoria almeno moralmente del danno subito da una donna che non ha alcuna colpa di essere donna, bella, giovane e con la pretesa di fare la giornalista sportiva. E di tutte le donne che subiscono in silenzio gesti altrettanto volgari e violenti.

Anche basta!

Genio

Loro ridevano dell’unica cosa che amavo –
Quella collina a forma di triangolo appesa
Com’è al Big Forth. Dicevano

Che ero incatenato da siepi di biancospino
Siepi di fattoria e non conoscevo il mondo.
E invece sapevo che la porta d’accesso che l’amore dà sulla vita
È la stessa porta d’accesso, ovunque.

Imbarazzato da questo mio amore
Fuggii da lei e la chiamai cunetta
Sebbene lei mi guardasse con un sorriso di viole.

Ma ora sono tornato qui nell’abbraccio dei suoi tralci.
La rugiada mattutina di un’estate indiana riposa
Sugli steli imbiancati delle patate –
Che età ho?

Non so che età io abbia
Non ho un’età mortale;
Non so nulla di donne,
Nulla di città,
Ma non posso morire
Senza oltrepassare queste siepi di biancospino.

Patrick Kavanagh

Ho scelto questa poesia di un poeta irlandese, per cambiare un po’ orizzonti, a dire la verita mi sono un po’ stancata di parlare di tragedie.

Mi piace in modo particolare e, se vogliamo, ha attinenza con l’attualità perché Patrick Kavanagh è stato un po’ discriminato e ritenuto a lungo un poeta “minore” tra la vasta scelta di grandi poeti che il suo paese ha “sfornato”.

Si diceva di lui essere un po’ eccentrico, strano, fuori dal giro dell’intellighenzia di intellettuali del suo tempo e per questo anche un po’ snobbato.

Niente di nuovo, succede spesso che il genio non venga riconosciuto in vita, da quì il famoso detto latino.

Ma col tempo gli irlandesi lo hanno capito e gli hanno dedicato una statua. Seduto sulla panchina dove usava fermarsi a comporre guardando il canale e dove ha composto versi suggestivi.

Una delle sue poesie è diventata una canzone famosa e molto gettonata e cantata dai più grandi interpreti: Raglan road.

Insomma …”loro ridevano” …cosi Kavanagh ha testimoniato con versi leggeri, come si può anche non essere capiti o addirittura dileggiati e rimanere se stessi e sentirsi parte del tutto, di quell’universo piccolo o infinito che, a seconda di come lo si percepisce, può espandersi e uscire dai propri confini fino a produrre perle di intelligenza e sensibilità che solo l’anima di “un genio” può produrre.

 

“Commemorate me where there is water”