La “rompiscatole”

Leggo la notizia che il tribunale di Torino ha emesso una sentenza che è destinata a cambiare un po’ le cose in materia di molestie sul lavoro.

Una addetta alle pulizie, dipendente di una società con diverse filiali, aveva denunciato il suo capo di molestie continuate.

Il collegio giudicante le aveva dato ragione ma che cosa ha pensato ( male) di fare la ditta? l’ha trasferita in modo che non ci fosse più la possibilità per il molestatore di reiterare il reato che evidentemente era stato provato e riconosciuto tale. Immagino dopo lunghissime e penosissime udienze nelle quali la donna avrà subito interrogatori di ogni genere e ci vuole davvero tanta, ma tanta pazienza per sopportare l’iter processuale in casi come questi. Deve averne subite di cotte e di crude per aver resistito fino ad ottenere giustizia.

Ma una volta provata la colpevolezza del suo capo, ad essere punita è stata lei!

Infatti, per lei, il trasferimento comporta notevoli disagi e per questo  ha impugnato la decisione della ditta, ha fatto causa e l’ha vinta. Devo dire che è una donna decisamente di grande carattere ma ce ne sono, per fortuna.

Insomma l’ha vinta lei e queste sono le motivazioni (riporto dal quotidiano ora non ricordo quale):

“Trasferire la lavoratrice che denuncia le molestie sul luogo di lavoro è discriminatorio. I giudici di Torino hanno stabilito un importante precedente che potrebbe dare forza e convincere altre donne a non subire più abusi e comportamenti scorretti da parte dei capi, né avere timore a denunciarlo, non solo alle forze dell’ordine, ma anche solo all’azienda. “L’impresa non è riuscita a provare in giudizio che il trasferimento della ricorrente fosse l’unico modo per sottrarla – doverosamente – al contatto con il molestatore, dato che analogo risultato poteva essere ottenuto trasferendo ad altra unità produttiva il superiore gerarchico autore delle condotte moleste”

Si, se ho capito bene, la giudice le ha dato ragione, non solo perché il trasferimento poteva sembrare un atto discriminatorio nei suoi confronti e secondo me lo era, ma anche perché non si capiva perché  doveva subire altri disagi lei e non il colpevole delle molestie.

Ritengo che sia un precedente molto significato che mi auguro venga tenuto presente nei prossimi casi che si presenteranno davanti al giudice per denunciare molestie e discriminazioni nei riguardi delle lavoratrici.

Un piccolo passo ma importante che potrebbe significare che finalmente qualcosa si muove sul fronte della lotta alle discriminazioni e alle molestie sulle donne sul luogo di lavoro. Mi sento di dire: era ora!

Ma ho l’impressione che non sia finita qui, le auguro di no, naturalmente, ma ho l’impressione che presto dovrà rendersi conto di quanto “fare la rompiscatole” sia difficile in una società ancora cosi maschilista come la  nostra.

7 commenti su “La “rompiscatole””

  1. Uno dei mille casi di abuso sulle donne fatta nel campo del lavoro e per di più da parte di un superiore. Tipico anche il tentativo di punire la vittima da parte dell’azienda nella speranza che tutto si fosse fermato là. La pretura del lavoro adesso ha fatto giustizia, ma attenzione, alle ritorsioni occulte, una potrebbe essere l’esercizio del mobbing.

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    e probabilmente lo sarà.

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  2. Io sono d’accordo che nell’ambiente di lavoro ci si deve rispettare, si deve tenere un comportamento educato, discreto, non invadente.
    Direi di più. Nell’ambiente di lavoro si dovrebbe passare il tampo lavorando, invece di fare la corte alle colleghe o alle dipendenti, o, peggio, importunarle contro la loro volontà.

    Detto questo, per tornare ad un altro tema dibattuto nei giorni scorsi, è chiaro che, quando una vicenda assume i toni di quella descritta, i rapporti di lavoro sono compromessi in maniera grave.

    E’ presumibile che il responsabile molestatore sarà guardato con diffidenza e disprezzo dalle sue dipendenti e colleghe, e perderà anche il rispetto dei dipendenti e colleghi uomini, che, come minimo, lo considereranno un fesso.

    E’ presumibile che la dipendente molestata, una volta che è riuscita ad umiliare davanti al giudice il suo datore di lavoro, non troverà più la motivazione giornaliera per continuare a lavorare volentieri e con efficienza per quella ditta.
    Né la ditta la potrà vedere con fiducia e, magari, prenderla in considerazione per eventuali sviluppi di carriera. Difficile far pace dopo una guerra.

    In una situazione così deteriorata sarebbe auspicabile che entrambi i protagonisti si cercassero un altro lavoro dove poter ricominciare da zero in serenità. Ma purtroppo, stante la rigidezza del mercato del lavoro in Italia, questo non succederà, e continueranno a lavorare insieme (male) come una coppia in una specie matrimonio di convenienza.

    E pensare che è tanto facile lavorare con piacere, affezionarsi ad un’azienda e farcisi degli amici, che magari restano anche al di fuori del lavoro.
    Io ho lavorato in 4 città diverse, con tanti colleghi e dipendenti di ambo i sessi, ma in tutti i casi mi sono fatto più amici che nemici.
    Per qualche anno ho avuto anche una segretaria, con la quale c’era un rapporto simpatico, al limite del corteggiamento (ma sempre entro il limite). Io le facevo i complimenti se aveva una pettinatura o un vestito che le stava bene. Lei mi abbracciava e mi dava il bacetto sulla guancia quando rientravo dalle ferie. Io a volte le portavo i cioccolatini.

    Quando sento parlare di molestie antipatiche o perfino violente – che peraltro non portano quasi mai a dei risultati per il molestatore – mi sembra che si parli di un altro mondo. Un mondo stupido di frustrati, prima ancora che cattivo.

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    beh, diciamo che il molestatore, di solito, viene piuttosto visto come la vittima altro che “guardato con diffidenza” e al massimo considerato un po’ “sfortunato”. Lei non ha “umiliato ” nessuno davanti al giudice si è “semplicemente difesa e ha cercato giustizia dopo essere stata prima molestata e poi punita col trasferimento. E il molestatore, se non erro, dopo la sentenza definitiva è stato trasferito. Lui, quindi. il colpevole ha cambiato sede, non lei che era la vittima delle sue continue e reiterate molestie,

    Non penso affatto che sarebbe auspicabile che entrambi cambiassero lavoro e perché mai? Lenzini lei vorrebbe che la donna dopo aver subito per anni le molestie, aver trovato il coraggio di denunciarle, aver subito anni di processi, aver contestato ancora la ditta per averla punita dopo che aveva ottenuto ragione… se ne andasse? E dove che trovare lavoro di questi tempi è come vincere un terno al a lotto (almeno quando lo riapriranno). E’ invece giusto che a cambiare sede sia stato lui quello che ha dato il via a tutta questa penosa vicenda, non crede? O deve sempre e comunque pagare la donna perché in fondo, sotto sotto un po’ “se l’è cercata”? Anch’io la penso come lei circa l’atmosfera che dovrebbe regnare nei luoghi di lavoro, ma la realtà, purtroppo non corrisponde sempre ai nostri desiderata. E questa sentenza segna almeno un punto di partenza importante: una donna ha vinto due volte contro chi la molestava e contro il pregiudizio che la vuole sempre colpevole, a prescindere.

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  3. Le sentenze sono come la pace dopo una guerra.
    Il molestatore è stato allontanato, ma i rapporti di questa lavoratrice si sono deteriorati con l’azienda stessa, e non solo col molestatore.

    Forse continuerà a lavorare fino alla pensione in un’azienda che non le piace e a cui lei non piace più.

    Non capisco perché si debba arrivare a questi punti. L’azienda avrebbe dovuto interrompere le molestie subito e trovare una soluzione.
    C’è un passaggio importante nella sentenza: “…..non deve ….. avere timore a denunciarlo, non solo alle forze dell’ordine, ma anche solo all’azienda.”
    Questo è un punto che mi lascia perplesso. C’era stata la denuncia all’azienda? Cioè. al capo del suo capo, oppure al responsabile del personale?
    Di solito basta questo per risolvere il problema. Un bel cazziatore al molestatore, di quelli che levano il pelo, da parte del suo capo, e gli passa per sempre la voglia di molestare.

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    ovvio che non conosciamo tutti i particolari, bisognerebbe leggere centinaia di pagine della sentenza ma che basti il “cazziatone” come lei dice mi sembra, francamente un po’ ingenuo da parte sua.
    Primo perché i “cazziatoni” su questo tema da parte dei vertici di un’azienda nei riguardi di un molestatore denunciato da una dipendente, sono un’ipotesi a dir poco lunare. Ma se persino dopo la sentenza definiva la ditta ha pensato bene di trasferire lei dunque di punire lei, come pensa possa essere possibile risolvere la cosa come lei dice? Mi pare che il suo punto di vista, per forza di cosa maschile, non tenga conto di come vanno le cose e di come le donne si trovino tutti i giorni a dover convivere con problemi di questo tipo.
    IN quanto alla dipendente penso che continuerà fino a che potrà a fare il suo lavoro e a percepire lo stipendio che, penso, è motivazione sufficiente, di questi tempi per poter mandare giù rospi grossi come una casa. Mi sembra che abbia anche fatto già un bel training.

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  4. Il mio punto di vista non è maschile. E’ manageriale.
    Un’azienda ha tutto l’interesse a spegnere sul nascere l’incidente invece di andare incontro a tutti quei guai.
    Se fossi stato io il capo del molestatore sono certo che sarebbe uscito dal mio ufficio completamente convinto a smettere.
    Quanto al trasferimento, non è stato certo una punizione, ma un tentativo, forse ingenuo, di risolvere il problema separando i due nella maniera che appariva più semplice.
    E’ più facile cambiare posto di lavoro ad un operativo che a un coordinatore. Non è detto che per lui ci siano sedi di lavoro disponibili.

    Alla fine, mi sembra una storia squallida gestita male da parte di una dittarella con capi incapaci e poco sensibili e lungimiranti.

    Mi piace questo aforisma: “Mai imputare a malafede quello che si può spiegare con la semplice stupidità!”

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    manageriale? Ergo maschile! Infatti sono sinonimi.
    Ecco spiegato perché capi e capetti sono tutti maschi: nel caso come quello citato o altri si trova subito la scusa che è più facile mandare via la donna che si sostituisce facilmente (già non conta niente ) mentre il capo (maschio) è di difficile sostituzione visto che ha “le mani in pasta” e la situazione sotto controllo. Tutto torna.
    Ma non basta, nel caso lei avrebbe cazziato il molesto (saggia decisione )ma poi avrebbe optato per tenerselo visto che era lui quello più difficile da sostituire ed essendo anche maschio magari quello che “tirava la carretta”…e poi lui non si sarebbe mai degnato di fare il lavoro che fa una donna…nel caso.
    E’ la somma che fa il totale…

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  5. Non voglio fare la rompiscatole ma vorrei spezzare una lanza per Lenzini, vabbè m’è venuta cosi, perché insomma diciamolo, io sono d’accordo spesso con la signora Mariagrazia ma nun c’è proprio verso che a Lenzini gliene passi una eh…nemmeno per sbaglio.

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  6. Gentile Serena, una lancia io la spezzerei sul capo di quel caporeparto(scusi il bisticcio), un tizio del genere è da rimuovere subito, altro che calcoli di convenienza, non basta la cazziata, quello ci riproverebbe a breve, e il reparto va in rovina.

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  7. Secondo me non c’è bisogno di vedere sempre le cose in ottica maschi/femmine.
    Di solito c’è una spiegazione più banale e più verosimile.
    Io ho detto solo quello che avrei fatto io, e qualche problemino da risolvere, anche se di tipo diverso, in 35 anni di lavoro, mi è capitato.
    I capi servono anche a questo. A risolvere i problemi da piccoli prima che crescano.

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    Lenzini Insisto, Il suo è un punto di vista maschile…almeno su questo possiamo essere d’accordo?
    O vuole dirmi che il suo è un punto di vista obiettivo, manageriale, scevro di pregiudizi, ambivalente, insomma tutto meno che maschile, mentre, il mio, sarebbe, visto che lo sottolinea spesso, un punto di vista deformato dalla visuale “femminista”?
    Il mio è il punto di vista di una donna che ha sperimentato cosa significa essere una donna in un mondo ancora prevalentemente maschilista.
    Lei dice che i capi servono a rivolvere i problemi. Giusto e per quello sono pagati, ma quando li creano invece?
    Quando li creano, si chiude un occhi perchè essendo maschi hanno delle “esigenze” e l’uomo capo è disposto spesso a chiudere un occhio o anche due sull’altro uomo capo. E sono sempre uomini, i capi. Sempre, tranne rarissime eccezioni.
    Capisce cosa intendo?
    A me non importa fare contrapposizioni, non sono femminista nel senso classico del termine, ma da donna ho visto e vissuto sulla mia pelle molte ingiustizie e le vedo tuttora.
    lei magari le vede anche, ma come ha già avuto modo di affermare, sono le donne che devono modificare l’esistente se non gli comoda, solo con i loro comportamenti. Ma lei non è una mosca bianca, molti la pensano come lei, per dirla papale: care signore, che volete da noi? Datevi da fare se le cose cosi non vi piacciono per modificarle e se ci riuscite bene sennò adattatevi! Si chiama selezione naturale.
    E questo atteggiamento si chiama maschilismo ( anche se lei sono sicura si comporta in modo impeccabile)ed è sempre più diffuso perché le donne, specie le più giovani si sono adattate ad… adattarsi.
    A me sembra ingiusto. Per questo scrivo quello che scrivo anche se non serve a nulla almeno io mi sento di fare quello che ritengo giusto: combattere, nel mio piccolo le ingiustizie che sono tante e sempre più diffuse. Questa sentenza ha fatto un po’ ma solo un po’ di giustizia, dietro di ingiustizia ce n’è un oceano.
    Ps: mi scuso se la risposta è più lunga del commento ma ogni tanto mi lascio prendere anch’io la mano.

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