I colori del mondo

Ripropongo questo mio racconto scritto qualche anno fa perché mi rasserena, spero che possa avere lo stesso effetto anche su chi vorrà leggerlo (o rileggerlo).

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Perché il cielo è azzurro e gli alberi sono verdi? Una ragione c’è di sicuro. Gli alberi azzurri e il cielo verde chi li vedrebbe? O non è solo una questione di abitudine?

No, decisamente non è abitudine. Un albero deve essere verde. E il cielo, azzurro. Non ci deve piovere.
Ma che idiozia. Chiedersi il perché dei colori. Eppure me lo sono chiesto questa mattina mentre guardavo il cielo azzurro con qualche sprazzo di bianco di nuvolette inconsistenti, passanti, indecise se fermarsi o liberare lo spazio dalla loro presenza. Stavo facendo colazione. E’ il momento della giornata in cui mi pongo delle domande. Da sempre. Poi, con lo scorrere del tempo, ho altro da fare che chiedermi il perché delle cose, ma la mattina, mi va. Sarà una questione di luce.

E in quanto alle risposte non ne trovo mai nemmeno una. O quasi. Sarà perché le domande sono sempre assurde, sarà perché in realtà non mi interessa rispondermi, preferisco rimanere appesa al’interrogativo che darmi una risposta che non potrebbe essere che altrettanto sciocca quanto la domanda.
Ma forse questa non era poi così sciocca. In fondo i colori mi hanno sempre affascinato e suscitato desiderio di capire perché proprio quel colore e non un altro che corrisponda a quella cosa o ad altra. Insomma li colore delle cose è di per sé una cosa che ha la sua importanza. Volendo.

Mi si obietterà che sono un’ ignorante in materia. Che non conosco la fisica, che dovrei approfondire e scoprirei che c’è una ragione a tutto. E sarebbe una giusta obiezione che avrebbe colto nel segno Ma confesso che, spesso, andare a fondo delle cose mi spaventa. E la bellezza sembra stare solo in superficie. Dico: sembra.

Riflettendoci, però, andare a fondo non è poi cosi difficile. Sarà perché “il fondo” mi da l’idea di buio?. Non c’è tanta luce e i colori non si vedono bene. A fondo, scavando, la luce diventa flebile, i colori perdono vivacità, si attenuano. Ma li, sembra, c’è la risposta a tutte le domande.

Mi diceva mia madre: rifletti, bene, sempre, prima di parlare , vai a fondo dei problemi, non lasciare le cose a metà. Che discorsi!
Ovvio che quando si è piccoli si ha la tendenza a saltare i problemi, non ti va di stare a pensare troppo su come agire e approfondire è una parola che spaventa, sembra un’incombenza,un compito a casa, insomma, un fastidio.
Ma da adulti la cosa cambia. Si ha il dovere di andare a fondo delle cose. Di cercare di capire, di non fermarsi alle apparenze. Si dice.

Ecco, appunto, le apparenze. Sono i colori apparenze? Una rosa mi appare rosa perché quello è il suo colore dato dall’effetto della riflessione della luce sulla sua superficie, ecco e quindi quello che appare rosa è rosa e quello che appare rosso è rosso. Punto e basta.

Eppure quello che intendo è questo: se non mi convince il fatto che il colore delle cose è solo apparenza e gioco di luci e di riflessioni, che cosa ho capito del mondo? O non ho capito?
Ci vorrebbe un esperto in materia e lui mi chiarirebbe i dubbi spiegandomi le leggi dello spettro di luce e dei colori e che le gamme infinite di variazioni di tonalità sono dovute alla riflessione della luce sulle diverse superfici e alle forme e alla composizione dei corpi. E terrebbe una conferenza.

Ma poi? Anche capendo, anche ammesso che arrivi a farmi una ragione delle leggi della fisica, quando vedo un tramonto rosso fuoco e non posso fare a meno di commuovermi a quello spettacolo, chi mi spiega cosa succede dentro l’anima alla vista di quelle pennellate di rosso e rosa di tutte le gradazioni e perché si viene colti quasi da sgomento nell’intuire che dietro a quello spettacolo c’è una mano che lo ha architettato?
Ed allora, a questo punto, tutte le leggi della fisica devono lasciare lo spazio alla metafisica.

Questo è il punto. L’universo dei colori o anche i colori dell’universo sono il tocco finale, la mano di vernice, la pennellata che serve a finire il lavoro e che lo compie, lo ultima, lo abbellisce e completa.
E chi l’ha data? Chi ha costruito l’universo non poteva farlo incolore, doveva farlo colorato perché i colori sono quello che ne fa un capolavoro compiuto. Ecco che la mia domanda dell’ora di colazione questa volta ha un senso e la risposta pure. Almeno per me. Il cielo è azzurro e gli alberi verdi perché l’ Architetto li ha voluti cosi, questo è il Suo Gusto Personale, la sua Idea di Universo, la Perfezione.

E la Perfezione si trova andando a fondo, in superficie non si trova, si deve scavare. Lui, l’Architetto l’ha posta in posti remoti, reconditi, difficili da trovare. Non è a portata di mano. Si dice: non è di” questo” mondo. La Perfezione è Lui. Trovarlo è una cosa difficile . E preferiamo lasciare le cose a metà quando non vogliamo capire, guardiamo la superficie incresparsi ma sotto non ci fidiamo di andare. E’ un processo lungo e difficile e ci si perde seguendolo e a volte non ci si ritrova. E’ un percorso ad ostacoli in cui si inciampa. Ci si rialza e poi si rinciampa. E poi non crediamo. Diciamo che tutto quello che appare è e che tutto quello che è appare. E che se ci fosse, l’Architetto dovrebbe mostrarsi e non dovrebbe esistere il buio e tutto dovrebbe essere a colori e il fondo non dovrebbe essere un luogo dove ci si può anche perdere ma un posto dove il colore rende tutto luminoso e chiaro e la luce in fondo arriva e illumina anche le caverne più nere. Eppure la Perfezione è a portata di mano, a volerla vedere.

Ma un albero è verde e si staglia sull’azzurro e l’azzurro risplende nei suoi contorni e anche il buio può essere apparenza e i colori esserci anche a fondo come in superficie. E’ l’occhio interiore che vede di più al buio che in piena luce, la rosa è di tanti colori e un tramonto di fuoco o un’alba radiosa sul mare appaiono e sono la rappresentazione dell’anima del mondo. E di quella di tutti i colori del mondo. O del mondo a colori, di quello che appare e scompare, che si vede o non si vede. Alla luce o al buio. Sempre… Ma tra un po’ risalgo.

14 commenti su “I colori del mondo”

  1. Avevo ai tempi trovato questo racconto veramente splendido, degno di un animo grande e di una profonda sensibilità poetica. Ripeto e ripropongo il medesimo giudizio, per quanto possa valere.

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  2. Cade a proposito questa magnifica “sinfonia di colori”, ora che, nonostante le primavera, tutto sembra ingrigirsi, le persone si parlano a distanza, le strade sono vuote, i negozi chiusi, il silenzio domina come se una innaturale campana ci fosse stata posta al di sopra, per isolarci giusto dai “colori del mondo”.
    Mi piace pensare anch’io che
    “Il cielo è azzurro e gli alberi verdi perché l’ Architetto li ha voluti cosi, questo è il Suo Gusto Personale, la sua Idea di Universo, la Perfezione”.

    E allora che c’è di meglio se, assieme ai colori del mondo, ascoltassimo una grande “architettura” di note unitamente ad una danza propiziatoria?
    Ossia “La sagra della primavera” di Igor Stravinsky

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  3. I colori del mondo, la loro esistenza e quella dell’universo, con tutto ciò che esso contiene di materiale, abbisognano però di una “coscienza” che di quelle “bellezze” riesca ad avere percezione.

    La coscienza è l’anima.

    Quello spirito vivificante che per qualche misterioso motivo ci differenzia da quello, altrettanto vivificante, posseduto da animali e vegetali che, purtroppo per loro, non è pensante, intelligente.

    Un animale non ha difatti coscienza di un tramonto o delle stelle che lo sovrastano e non si pone domande in merito, come noi.

    Lui mangia, defeca, si accoppia…

    Il tutto obbedendo, inconsciamente, a quella forza interiore (l’istinto) che lo ha programmato a compiere quelle funzioni.

    L’essere umano, sebbene soggetto anche lui alle stesse leggi che condizionano l’animale, ha pero’ coscienza di ciò che lo circonda e sa valutarlo.

    Nel momento in cui scrivo sui pianeti Marte, Plutone o sulla Luna o su altri mondi a noi ignoti vi sono montagne, crateri, ampi spazi completamente deserti, vuoti, privi di vita, di movimento.

    Luoghi remoti che esistono ma apparentemente senza alcuna funzione.

    Che tali corpi celesti vi siano o non vi siano non fa apparentemente differenza.

    Per chi sono quei posti? Che ci stanno a fare? Chi, di essi, ha coscienza, consapevolezza?

    Eppure di quei mondi lontani, disabitati e privi di vita, buttati nella solitudine dello spazio qualcuno ne deve avere…coscienza, consapevolezza, altrimenti la loro presenza, la loro esistenza non avrebbe senso.

    Noi terrestri, ad esempio, proprio perché esseri “coscienti”, ne abbiamo consapevolezza, ci accorgiamo di loro; da quaggiu’ li scorgiamo o, addirittura, li sorvoliamo con sonde e li fotografiamo pure…

    Quei mondi esistono se non altro perché qualcuno si accorge della loro presenza.

    Vi e’, inoltre, quel Grande Spirito, ovvero a quella infinita Coscienza, che noi credenti chiamiamo Dio che a tutto sovrintende e che di tutto ha infinita consapevolezza.

    Ed è proprio l’avere consapevolezza delle creature da parte della Infinita Coscienza cio’ che fa vivere le creature stesse e rende esistenti gli universi, sia quello/i materiale/i che quello/i immateriale/i.

    Un’ ultima riflessione: la Entita’ che noi chiamiamo Dio è uno Spirito le cui attività esistenziali, a differenza degli umani, imprigionati nel tempo e nello spazio, avvengono concomitatamente, simultaneamente:

    vi è l’Essere (Spirito Santo) che è il primo modo di manifestarsi della divinità, la Sua identità;

    Egli pensa, vive e quindi crea dall’eternità (cogito, ergo sum) ed è il Suo secondo modo di essere, ovvero il Padre che genera;

    Il Suo pensiero, la volontà da Lui scaturita, è il Figlio, ovvero il terzo modo di essere della divinità.

    Mentre noi dobbiamo seguire, per la nostra condizione tre fasi distanziate nello spazio e nel tempo quando agiamo:

    1) noi come persona,

    2) il nostro pensiero le nostre idee la nostra creatività le nostre immagini mentali;

    3) la nostra idea realizzata,

    in Dio tutto ciò avviene contemporaneamente.

    L’architetto essere umano ad esempio, ha una immagine mentale del progetto (1^ fase)

    poi prende carta e matita, disegna, esegue calcoli, realizza l’opera (2^ fase);

    l’idea realizzata ovvero l’opera finita (un ponte, un palazzo…) e’ la 3^ fase della sequenza.

    Le succitate sequenze nel nostro mondo si… susseguono per via della nostra costrizione spazio-temporale.

    In Dio, invece, quelle non esistono ma avvengono contemporaneamente.

    Si manifestano così i tre aspetti, le tre persone di uno stesso Dio: ovvero la Trinita’:

    lo Spirito Santo (l’essenza divina);

    il Padre (la essenza divina che agisce, vive e crea);

    il Figlio (il pensiero, la volontà cosciente esternato dalla divinità).

    Quanto sopra, essendo Dio eterno, avviene dalla eternità per cui Spirito Santo, Padre e Figlio sono eterni ma in un unico Essere cosciente.

    “Cogito ergo sum” sottolinea anche proprio quella nota peculiarità che se non pensi non vivi quindi non sei, non esisti.

    Non mi dilungo oltre.

    Cordiali saluti.

    P.S. Chiedo scusa per la mia solita prolissita’ di espressione.

    Risposta

    non si scusi Romolo ha fatto una bellissima esposizione del suo pensiero che offre moltissimi punti di discussione per chi volesse coglierli.
    Io aggiungo solo a quanto lei ha scritto su Dio questa famosa citazione (se non ricordo male) ” Dio è tutto in tutti”.

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  4. Grazie per la Sua risposta e per aver pubblicato sul Suo blog le mie modeste riflessioni.

    In vero su tanti temi teologici-religiosi-filosofici ci sarebbe tantissimo da esternare ma si rischierebbe di stancare i lettori.

    La Chiesa purtroppo, a mio giudizio, sembra ancora… ancorata alle “favole” fornendo ai fedeli ben poche VEROSIMILI spiegazioni ai tanti, legittimi, interrogativi che un credente si pone.

    Io personalmente non sono un ateo, però certe domande me le pongo circa la dottrina cristiana, i regni ultraterreni, Dio, il bene, il male, la resurrezione dai morti ecc. ecc..

    La Chiesa, in fondo, mi pare che, pur con tutto il rispetto che merita, non sappia fornire plausibili spiegazioni e nemmeno si sforza di dare una risposta verosimile sui temi succitati.

    La Chiesa dice solo che bisogna avere fede ma…non va oltre, quasi che l'”indagare” sia un tabù, una blasfemia.

    Fede si’, dico io, ma secondo me non trovo affatto blasfemo o peccaminoso o presuntuoso cercare di approfondire razionalmente le cose considerato anche che Dante, nella Divina Commedia, fa dire all’anima di Ulisse: “Fatti non foste per viver come bruti ma per seguir virtude e conoscenza”.

    Un esempio fra tanti per rendere l’idea sulle mie riflessioni potrebbe essere:

    Dopo la morte, dice la Chiesa nei “novissimi” (morte, giudizio, inferno, paradiso), l’anima subisce il giudizio divino e la definitiva eterna destinazione in base a quanto combinato in vita.

    Si avrà così una beatitudine o una dannazione perpetua.

    Ciò premesso ed assodato ci si chiede che senso avrebbe, allora, un ulteriore Giudizio Universale alla fine dei tempi dal momento che io, morto, sono già in uno stato di felicità o di pena?

    A che cosa mi può servire un corpo, seppur “trasformato”, se non avrò più bisogno di compiere quelle funzioni (mangiare, respirare, vedere, udire…) che avevo sulla Terra dove quell’involucro mi permetteva di comunicare sensorialmente con l’esterno, ovvero nell’ambiente terrestre dove ero biologicamente e al quale ero inserito dopo milioni di anni di evoluzione?

    Delle due l’una: o, dopo morto, avrò una mia destinazione spirituale eterna e sarò comunque “cosciente” del mio stato oppure dovrò attendere ancora un ulteriore, successivo processo universale che, chissà perché, dovra’ farmi “ricongiungere” con un corpo di cui non ne vedo la necessità.

    Cristo è risorto col corpo e quindi, dice la Chiesa, anche noi, alla fine dei tempi, risorgeremo… col corpo….

    I conti non tornano per i motivi succitati.

    Esiste invece, secondo me, una spiegazione più verosimile circa l’evento in parola.

    Quando Gesù morì, il suo spirito, la sua coscienza (così come quella di ogni essere umano) non peri’, non si annullo’, bensì si riuniformo’ in quella del Padre, ovvero ritornò a quella Sorgente da cui tutto proviene.

    Comunicare ai discepoli che lui in realtà non era sparito nel nulla, la sua personalità non veniva distrutta o annullata con la morte terrena ma continuava a vivere, sebbene in un’altra dimensione e condizione (in un certo senso è come se di un computer tu salvi la memoria con la chiavetta, poi distruggi l’apparecchio ma puoi sempre far rivivere il tutto inserendo la chiavetta in un lapparecchio esterno anche diverso dal precedente) non era facile specie per gente che, all’epoca, non era ancora in possesso di una cultura o capacità cognitiva adeguata.

    La morte, per quell’ epoca, era rappresentata (come anche oggi del resto) da un corpo inerte e rigido mentre la vita, al contrario, era costituita dal respirare, mangiare, ecc..

    Non era affatto concepibile immaginare qualcosa di diverso.

    Necessitava pertanto presentarsi ai discepoli sotto forma corporale, quindi “fisicamente risuscitato” per rassicurali che Egli non era finito, non era “morto”, bensì “vivo!!! Appariva ai discepoli concretamente, mangiava in loro presenza, si faceva toccare ma poi…puff, spariva ai loro occhi. Alcuni non lo riconoscevano (discepoli di Emmaus) poi Cristo spariva; varcava porte chiuse, precedeva i discepoli in Galilea superando facilmente l’ostacolo spazio-temporale così limitante per noi su questo mondo…

    Tutto quello con il corpo?

    Certo ma, sicuramente, con un corpo fittizio, solo per rassicurare i credenti sul fatto che la coscienza, l’anima, lo spirito, non muore, non si annulla una volta separatosi dal corpo ma continua a vivere…sebbene in condizioni differenti da quelle terrene.

    Ancora: gli antichi non potevano certo sapere che la Terra è un pianeta sferico la cui atmosfera ha un termine una volta raggiunto un determinato livello di altezza oltre il quale v’è lo spazio vuoto e dove non è più possibile la vita.

    Da sempre, però, per gli uomini del tempo il cielo era la dimora degli dei, un luogo più o meno simile al nostro, forse più bello e confortevole (vedasi l’Olimpo dei Greci, il Walhalla degli Asi, l’Eden della Bibbia…) ragione per cui Gesù, che ben conosceva la verità delle cose, doveva però comunicare con i suoi senza stravolgere i loro schemi mentali.

    Sollevarsi da terra verso il cielo fu un innocente “espediente” messo in atto per dire loro che Lui ritornava al Padre, l’origine da cui tutto diparte e a cui tutto ritorna previa una prova di maturazione…

    Padre nostro che SEI NEI CIELI…recita la preghiera.

    In verità Dio è nei cieli in quanto vive ed opera dappertutto, intorno a noi, nello spazio non ben definIto che ci circonda.

    Guardando in alto, nello spazio intergalattico che avvolge il nostro pianeta, non vediamo forse…il cielo?

    Dio è lì e dappertutto.

    La Samaritana a Gesù che gli chiedeva da bere, contesto’ il fatto che Dio doveva essere adorato a Gerusalemme invece che a Samaria, la capitale dell’ex regno di Israele contrapposto a quello di Giuda dove invece era il Tempio in cui…abitava Dio.

    Gesù risponde che Dio non abitava in nessuno dei due luoghi indicati ne’ doveva essere pregato in un posto specifico bensi’ “in spirito e verita”.

    Con ciò voleva dire che sono i comportamenti umani, le nostre buone azioni che ci fanno stare in sintonia ed in armonia con l’Ordine universale, con la Coscienza suprema.

    Fuori da quell’ Ordine, da quella Coscienza, la nostra coscienza è destinata a soffrire, a rimpiangere per sempre quello status di benessere al quale eravamo chiamati.

    Concludo qui. Non voglio dilungarmi su ulteriori temi “teologici”. Ho annoiato abbastanza.

    Cordiali saluti.

    Non ha annoiato per niente sono tutti temi e domande che ci poniamo, chi più chi meno, un po’ tutti, sia che crediamo sia che non crediamo.
    Lei dice che non è ateo e si sente e giustamente, a mio parere si pone molte domande, infatti l’uomo ha un’intelligenza che lo porta a farsi domande e a darsi risposte. Risposte che molto spesso non trova, ma, a mio avviso l’importante è cercare sempre nell’anima le risposte che ci suggerisce.

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  5. Gentile signor Romolo, lei ha fatto una bella esposizione delle sue idee sul trascendente e sull’immanente.
    Mi permetto una osservazione:
    Il “cogito ergo sum” ci dà coscienza di esistere. Ma esisteremmo anche se non ne avessimo coscienza, come gli animali, i vegetali, le cose inanimate. Esistono in sè.

    In quanto alla Unità e Trinità di Dio, è un dogma cattolico (un paradosso per la logica umana), ma se si crede, si deva accettare. Le tre Persone, non sono aspetti diversi di un’unica Persona: hanno la stessa sostanza (che noi chiamiamo spirito) ma sono persone distinte.
    Sant’Agostino, dà una spiegazione che si può così riassumere:
    Il Padre conoscendo intimamente se stesso genera il Figlio;
    Dall’amore scambievole tra il Padre e il Figlio, procede lo Spirito Santo.

    Ecco, conoscenza e amore: ma, al di là dei tentativi filosofici di spiegare Dio, quello che conta è la fede, e non tutti ce l’hanno.
    Cordialità

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  6. I filosofi rinascimentali asserivano che solo noi esseri umani siamo un microcosmo contenente il Macrocosmo, superiori agli animali, privi di spirito, ma muniti comunque di psichismo, e persino agli angeli, che non hanno un fisico. In noi Dio ha voluto coniugare carne e spirito, unici nel Cosmo di tal fatta. A meno che non esistano veramente altre creature intelligenti nella vastità mondi possibili. Non guastiamo la stupenda creazione divina con la nostra parte negativa dis-umana.

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  7. Rileggendo la citazione di Sant’Agostino sulla Trinità e riandando ai miei studi ponderosi di Dogmatica, Teologia e Morale alla Cattolica di Milano, rinnovo la mia assoluta disapprovazione per l’arroganza e saccenza dei vari teologi, che, da creature, pretendono di mettere in bocca a Dio le loro elucubrazioni fumose circa le caratteristiche del loro Creatore

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  8. Difficile attribuire a Sant’Agostino “arroganza e saccenza” in quella attività speculativa che distingue l’uomo dall’animale.
    Basta leggere le sue Confessioni, di cui riporto un brano infinitesimo, sull’esistenza del male e la bontà di Dio
    “Cercavo l’origine del male cercando male e non vedendo il male nella mia stessa ricerca. Davanti agli occhi del mio spirito ponevo l’intero creato, tutto ciò che ne possiamo scorgere, ossia la terra, il mare, l’aria, gli astri, gli alberi, gli animali mortali, e tutto ciò che ci rimane invisibile, ossia il firmamento celeste sopra di noi, tutti gli angeli e tutti gli spiriti che lo abitano(…)
    “Questi pensieri rimescolavo nel mio povero cuore gravido di assilli pungentissimi, frutto del timore della morte e della mancata scoperta della verità. Rimaneva tuttavia saldamente radicata nel mio cuore la fede nella Chiesa cattolica del Cristo tuo, signore e salvatore nostro. Certo una fede ancora rozza in molti punti e fluttuante oltre il limite della giusta dottrina; però il mio spirito non l’abbandonava, anzi se ne imbeveva ogni giorno di più”.

    Una grande umiltà celle ricerca della verità, sia pure imperfetta.
    Risposta

    la Fede credo si possa acquisire ma quella che arriva come un Dono è quella che non si pone alcuna domanda, anche i più eccelsi pensatori sono d’accordo che la Fede sia un regalo e non sia sindacabile.

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  9. Io, manco a dirlo, sono un materialista scientista.
    Sono stato educato cattolico e, verso i 18 anni, ho smesso di credere.

    Non so se esista o meno Dio, anche perché è impossibile dire se esiste qualcosa che non possiamio definire né capire.
    Quello che posso dire è che, al momento, io non vedo nessun motivo per ipotizzare l’esistenza di Dio. Potrà anche esistere, ma a me non mi risolve nessun dubbio esistenziale.

    Sono certo che gran parte delle teorie religiose e filosofiche sono conseguenza del fatto che, nell’antichità, non si sapeva niente del cervello. Gli egizi mettevano da parte nei vasi canopi i vari organi, mentre il cervello lo buttavano via.
    Prima di capire che il pensiero e le emozioni nascevano nel cervello, ci sono voluti tanti secoli.

    Altro percorso faticoso è stato quello per capire che le sensazioni dipendono – anzi, altro non sono che – delle reazioni chimiche. Per capire che se, uno si sente triste, non dipende necessariamante dal fatto che la sua vita sia triste, ma può dipendere da un calo di serotonina. Le droghe sono la prova del fatto che la chimica produce sensazioni.

    Per quanto riguarda gli animali, più li conosci e più le differenze con l’uomo si assottigliano.
    Ci sono animali semplici, come gli insetti, che, con un cervello microscopico, riescono a fare cose incredibili.
    Ci sono, per esempio, insetti (come le comuni forbicine) e ragni che hanno una vita di coppia e un modo di allevare i figli molto simile al nostro.

    Che noi abbiamo la coscienza e loro no, per me non è una differenza qualitativa, ma quantitativa.
    Anche i bambini piccoli non hanno la coscienza di sé, e poi l acquisiscono.
    Un bambini cresciuto nella giungla non diventerà mai un musicista.

    Noi abbiamo semplicemente un cervello enormemente più potente del loro, e abbiamo inventato il linguaggio deterministico che ha potenziato enormemente la nostra comprensione delle cose perché permette di mettere a fattor comune i pensieri di tanti individui e ci permette di “salire sulle spalle dei giganti”.
    Però siamo fatto assolutamente della stessa pasta.

    Risposta
    Dal dizionario Treccani:”nani sulle spalle di giganti Metafora con cui si esprime un rapporto di dipendenza della cultura moderna rispetto all’antica. Essa s’incontra per la prima volta (1159 ca.) nel Metalogicon (III, 4) di Giovanni di Salisbury, che ne attribuisce la paternità al suo maestro Bernardo di Chartres: «dicebat Bernardus Carnotensis nos esse quasi nanos gigantium humeris insidentes»; possiamo, cioè, vedere più lontano non per l’acutezza della nostra vista o l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo portati in alto dalla grandezza dei giganti. La frase fu ripetuta spesso fino alla querelle des anciens et des modernes (➔), sempre per rilevare il debito dei moderni verso gli antichi.””
    L’ho pubblicata per rendere più chiaro il suo pensiero.
    Certo, può essere che sia veramente cosi ma non possiamo che trarne giovamento, infatti chi dice che con la cultura non si mangia dice una grande sciocchezza visto che “vedere più lontano” aiuta molto e per un sacco di ragioni.
    Ma quando dice che per lei che Dio esista o no non fa differenza è sicuro di dire una cosa logica? La stesso dubbio presuppone che il fatto in sé abbia una sua (relativa) importanza anche se lei non coglie la differenza.

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  10. Io non ho questo dubbio. Sto riportando un dubbio di altri.
    Io mi sono chiarito alcune idee studiando la matematica. Importante il calcolo infinitesimale inventato da Newton e Leibnitz, che ci insegna a gestire i concetti di “infinitamente grande”, “infinitamente piccolo”, “sempre” ecc… senza perdercisi come facevano gli antichi.
    Con i concetti del calcolo infinitesimale il paradosso di Zenone, quello di Protagora e tanti altri dilemmi dell’antichità si sciolgono come neve al sole, mostrandosi come semplici errori di logica.

    La conoscenza della natura e, in particolare, della teoria dell’evoluzione, nella versione perfezionata dai successori di Darwin, spiega abbastanza bene l’origine del mondo e l’origine della nostra specie. Anzi, l’osservazione della natura ci porta piuttosto ad escludere che ci possa essere stata una creazione, a meno che non immaginiamo un Dio decisamente burlone e dispettoso.
    Restano, in realtà, dei punti interrogativi, come il big bang e il passaggio dalla materia inanimata alla materia vivente, ma è probabile che tra non molto capiremo anche questo come, piano piano, abbiamo capito il resto.

    Comunque, spiegare questi interrogativi residui con Dio, per me, sarebbe una non spiegazione, perché rimanderebbe al problema di spiegare cosa è Dio.

    Risposta
    Come lei sa Gregor Mendel inventore della moderna genetica, era un monaco agostiniano e le sue teorie avevano un gran daffare con i numeri e i massimi sistemi eppure non per questo si è fatto ateo.
    Lenzini, la presunzione dell’uomo di conoscere e sapere tutto quello che c’è da sapere (come se l’uomo lo sapesse) è infinita e a mio parere ogni tanto bisognerebbe ricordarsi di Socrate e della sua modestia.
    (Il famoso “so di non sapere” riportato da Platone nell’Apologia)

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  11. Certo, ci sono tante cose che non sappiamo e bisogna esserne consapevoli.

    Però, ci sono tante domande che ci siamo posti nella storia dell’umanità che al momento non avevano risposta e poi l’hanno avuta.
    Per ogni risposta, un dubbio in meno. Restano gli altri.

    Negli ultimi 2000 anni abbiamo capito che si pensa col cervello, che i vermi della carne non nascono da soli, ma c’è un moscone che di depone le uova, che le malattie non sono causate da strani “umori” ma da microrganismi patogeni, che la terra gira intorno al sole e la luna intorno alla terra e nel cielo ci sono milardi di stelle enormi. Abbiamo imparato che Achille raggiunge la tartaruga, perché la somma di infiniti addendi può dare per risultato un numero finito. Abbiamo imparato che le specie si evolvono attraversi meccanismi di mutazione e selezione, e che l’uomo è una scimmia più evoluta delle altre.
    Molti di questi dubbi, e tanti altri, turbavano i sonni degli antichi, che, non riuscendo a darsi risposte, ipotizzavano che dietro a tanti fenomeni ci fosse Dio. E così buttavano la palla in corner rinviando il tutto allo studio e alla definizione di un Dio compatibile con queste risposte.
    Oggi si può benissimo credere in Dio, ma per scelta. Non più per spiegare i misteri del mondo.

    Risposta
    e chi vuole spiegare qui “i misteri del mondo”? Lo vede che siamo arrivati al punto in cui ammette che però esistono i “misteri del mondo”?
    Certo più l’uomo acquisisce conoscenza e più si insuperbisce ma ciò non toglie che credere sia sempre e comunque un atto di Fede. Per gli antichi come per noi.

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  12. Lenzini, l’analisi infinitesimale l’ho studiata anch’io al liceo (la chiamavamo scherzosamente analisi in-fin-ti-senti-male) e poi l’ho approfondita all’università, e le assicuro, non ci avvicina di un “epsilon” (tanto per restare nella terminologia matematica), al problema dell’esistenza o no di Dio, così pure tutte le teorie di Darwin e successori da lei citati.
    Mi meraviglia che tra i suoi punti interrogativi non c’è quello più stupefacente, come la materia inerte possa divenire essere pensante, auto cosciente, dotata di libero arbitrio e concepire l’esistenza di Dio.
    Con ciò non voglio dimostrare nulla, sono “agnostico”, l’esistenza di Dio come la sua non esistenza sono atti di fede.
    La saluto

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  13. Se ha letto il mio messaggio precedente avrà visto che io citavo, appunto, tra i misteri rimasti, quello del passaggio dalla materia organica alla vita.

    Nel mio lungo messaggio avevo scremato dai misteri dell’umanità quelli che via via hanno avuto una risposta, e sostenevo che i veri misteri rimasti sono molto pochi.

    Sono d’accordo che affermare l’esistenza di Dio o negare la possibilità che esista sono entrambe posizioni indimostrabili. Anche e soprattutto perché non esiste una definizione univoca di Dio e ciascuno ne ha un’idea sua, per cui è impossibile diquisire di qualcosa che non abbiamo definito prima.

    Stavo dicendo piuttosto che molti dei motivi che hanno spinto gli antichi a ipotizzare l’esistenza di Dio non sono più validi, perché tanti fenomeni strani hanno avuto una spiegazione scientifica. (e molto, grazie alla matematica che ci ha insegnato a maneggiare i concetti limite come l’infinito)

    Quanto al salto che molti vedono tra l’uomo e gli altri animali, come dicevo sopra, deriva in buona misura dalla non conoscenza degli animali.
    L’unica differenza che ci ha fatto fare un salto di qualità è stato il linguaggio, che ci permette di mettere le conoscenze a fattor comune e di insegnare alle persone cose di cui loro non hanno avuto e non avranno mai esperienza diretta.

    La coscienza di sé non è detto che non ce l’abbiano anche gli animali. Può darsi che semplicemente si manifesti in modi che noi non sappiamo riconoscere.

    Anche la coscienza di sé è una conseguenza del linguaggio. Mentre gli animali pensano in maniera inconscia, noi abbiamo preso l’abitudine di pensare “in chiaro” articolando in parole anche i pensieri che teniamo per noi, e probabilmente è di qui che deriva il senso di autocoscienza che dice lei.

    Risposta
    gli animali non hanno coscienza di sé e non sanno “pensare” nei termini che noi attribuiamo agli umani ma hanno una loro maniera peculiare ed è quello che li differenzia da noi, è dimostrato, ma hanno una capacità di comprensione (limitata) di alcune parole…per esempio un barboncino capisce il linguaggio umano come un bambino di tre anni (questo si evince da esperimenti fatti su questa razza) e anche gli animali hanno (giustamente) un ‘anima e quindi percepiscono sentimenti come noi e sono capaci di contraccambiarli.

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