Il racconto di una bella vacanza

Pubblico eccezionalmente questa breve nota di Alessandro, che ha voluto condividere con noi le sue impressioni di un recente viaggio in Turchia. Un bel modo per fissare nella memoria una vacanza  durante l’estate infuocata appena trascorsa.

Ho trovato questo racconto molto interessante ma mi permetto solo di osservare, come fa anche l’autore, che prima che la Turchia possa eventualmente entrare nella UE, deve fare ancora molta strada sul piano dei diritti umani.

 

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In principio vi furono gli Ittiti, cinquecento anni di civiltà e un rapido misterioso declino; poi ai Frigi, ai Traci, ai Lidi e agli Armeni, subentrarono  i Greci  che fondarono Bisanzio;  quindi ai Persiani di Dario segui l’impero di Alessandro Magno e, dopo la sua morte prematura, i Romani, il cui imperatore  Costantino il Grande trasferì la capitale da Roma a Costantinopoli; caduto l’Impero Romano d’occidente, ecco il  lungo periodo bizantino che, per quasi mille anni, mantenne vivo l’Impero Romano d’oriente.
Fu Maometto il conquistatore che nel 1453 violò le potenti mura della capitale, cambiandone il nome in Istanbul, e fondò l’Impero Ottomano che  durò oltre seicento anni, impero che Solimano il Magnifico portò ai massimi fasti, estendendolo dall’Africa fino alla porte di Vienna. Seguì il lento inesorabile declino fino al suo disfacimento, dai cui resti Mustafa Kemal “Ataturk”, nel 1923,  fondò la moderna repubblica turca.
Questo l’amalgama  di storia, popoli, civiltà, lingue e religioni dell’odierna Turchia che aspira da decenni ad entrare a far parte dell’Unione Europea.
Un grande Paese, in cui si alternarono fede cristiana e fede islamica, oggi di fede prevalentemente sunnita, dove convivono stridenti contraddizioni, le moschee col richiamo alla preghiera del muezzin e i grappoli di grattacieli, le banche, i centri commerciali, gli hotel di lusso.

Giungendo a Istanbul, in volo di notte, ti assale lo sgomento delle mille luci che ne disegnano la forma delle penisola storica, ultima propaggine dell’Europa  che si affaccia al continente asiatico, quell’Anatolia che i romani chiamarono Asia Minore, e man mano che l’aereo compie la sua complessa manovra di avvicinamento all’aeroporto,  vai scoprendo il dettaglio dei  ponti che congiungono i due continenti lungo la striscia nera del Bosforo, e infine, prima che la fase d’atterraggio sia completata, il ponte di Galata che attraversa il Corno d’oro. col suo formicolare luminoso di auto.

Metropoli di Diciassette milioni di abitanti, edificata su sette colli come Roma, una aeroporto tanto vasto da perdercisi, grattacieli modernissimi tra le case più antiche in stile locale e profili di moschee imponenti coi minareti svettanti.
Due magnifici  ponti  collegano il continente europeo a quello asiatico, e penso a quel ponte, troppo lontano nei progetti del nostro Paese, che invece, non è stato mai realizzato per unire la Sicilia alla penisola italica.
Tolte le possenti mura teodosiane, l’acquedotto e la cisterna di Valente,  rimane poco di Roma, se non il ricordo. Nessuna traccia di Costantino il Grande fondatore di Costantinopoli, la chiesa che ne raccoglieva le spoglie è stata distrutta per far posto a una moschea: rimane un sarcofago, o forse un cenotafio, che lo ricorda, nelle chiesa di Hagia Irene.
Del periodo bizantino,  la basilica di S.Sofia voluta da Giustiniano, da chiesa cristiana, prima ortodossa poi cattolica,  fu trasformata in moschea, qui venivano incoronati gli imperatori dell’Impero Romano d’Oriente, qui ebbe luogo il massacro di cristiani per opera di altri cristiani, quelli della quarta crociata cui aveva partecipato Venezia capitanata dal Doge Dandolo. Ne nacque la parentesi dell’impero latino durato circa sessant’anni. Ora è un museo pieno di turisti che guardano incantati la grande cupola, i mosaici, le decorazioni di questa grande moschea sorretta dai imponenti contrafforti, visibile insieme ad altre nel panorama incantevole delle città.
Il resto è ottomano e islamico, come testimoniano  l’imponente e sontuosa Moschea di Solimano il magnifico, oppure il vasto palazzo Topkapi, sede dei sultani, dei loro guerrieri Giannizzeri,  delle quattro mogli e delle donne dell’Harem, coi suoi giardini, le raffinate decorazioni, la varietà di maioliche, i gioielli.
 Venezia e Genova, la repubbliche marinare che vi stanziarono i loro avamposti, insieme con spagnoli e portoghesi, per commerciare con l’Oriente,  li ritrovi, l’una nel lampadari di Murano della magnifica sede di un sultano, il palazzo di Beyierbeyi, gli altri, nella svettante torre di Galata, scavalcato il Corno d’Oro attraverso l’omonimo ponte, animato di gente e di auto, coi ristoranti affacciati sul Corno d’Oro.
Qui era tracciata la via delle seta col viavai di merci – sale e vari tipi di spezie, oltre la preziosa stoffa-   scambiate tra Oriente e Occidente-  testimoniata dai grandiosi craravanserragli che,  un tempo  rifugio e ristoro degli uomini e degli animali delle carovane,  si elevano oggi maestosi ma vuoti,  lungo il tragitto.
Ad Efeso, più che altrove, ritrovi l’impronta di Roma, nelle imponenti rovine delle città, su cui primeggia la facciata delle biblioteca di Celso un tempo ricca di dodicimila pergamene, e nelle città sotterranee del tempo delle persecuzioni cristiane per opera di Diocleziano.
Se di Costantino il Grande è rimasto solo il nome, la voce stridula dei Muezzin che chiama alla preghiera, sembra fare aleggiare lo spirito di  Gialal ad-Din Rumi, detto Mevlana,  il poeta mistico fondatore dell’ordine dei dervisci rotanti -il cui raffinato monastero si trova a Konya- autore di una guida spirituale, di 25 mila versi, da recitare per compiere l’ascesa verso Dio.
Di grande suggestione gli spettacoli naturali, le cascate pietrificate di Pumakkele, il lago salato sulla via di Ankara, un deserto bianco che richiama quell’idea dell’infinito che solo il mare può dare, le gibbosità del terreno delle Cappadocia, quelle formazioni di torri con cappuccio chiamati camini della fate, il museo  all’aperto di Goreme dove un tempo, nei cunicoli, nelle stanze, nei luoghi di culto nonché di sepoltura, scavati nel tufo, pullulava la vita.
Mi chiedo perché questo grande paese, che fu culle di antichissime civiltà, oggi in continuo sviluppo, pur ambendolo fortemente, non riesca ancora a far parte delle Ue. Eppure l’odierna Turchia, facente parte della Nato dal 1952, di cui si fa interprete il premio nobel Orhan Pamuk, darebbe un gran contributo all’Unione in termini di economia e interscambio di cultura.
La mia impressione è che si tratti di un grande popolo, che la sovrapposizione di civiltà diverse ha reso duttile e ricettivo  contrariamente all’immaginario che me lo rappresentava prigioniero di usi e costumi tribali e di una religione che tende a pervadere lo stato rendendolo incompatibile con la civiltà occidentale. Ho visto invece nelle persone con cui ho avuto uno scambio di idee, nelle organizzazioni efficiente di certi servizi, nella cortesia dei rapporti interpersonali, l’aspirazione ad  assimilare una mentalità occidentale che non rinneghi però quanto di buono hanno sedimentato secoli di storia costruita dai popoli asiatici.

Ma ci sono ancora molte questioni irrisolte. La Repubblica Turco-Cipriota instaurata manu militari e le tensioni con la Grecia, la condizioni dei 25 milioni di Curdi oppressi che reclamano il riconoscimento dei  loro diritti di autonomia,  lo stato di  conflittualità interna sempre presente, le libertà democratiche mortificate da un regime autoritario, quello di Erdogan,  delle durata di parecchi lustri,  cui non è estraneo l’uso delle tortura contro le minoranze etniche, uno Stato non laicizzato, i diritti civili non ancora allineati a quelli occidentali, la condizione della donna oggetto ancora di crimini odiosi quali la violenza domestica, lo stupro, il delitto d’onore, la violenza per abbigliamento non tradizionale.

 

Eppure, a più riprese, la Turchia si sforza d’intraprendere il cammino  verso una condizione accettabile per le civiltà occidentali, non so se a breve ce la possa fare:  certo, condizione necessaria, ma non del tutto sufficiente, sarebbe che si liberasse prima dal regime autoritario e oppressivo di Erdogan, riprendendo poi la via delle riforme civili, della laicizzazione dello stato, del rispetto delle minoranze, della democrazia. Dopo averla conosciuta, sia pure superficialmente, spero che il futuro possa essere propizio a questa soluzione.

Alessandro Stramondo

 

2 commenti su “Il racconto di una bella vacanza”

  1. Alessandro, il grande scrittore Ohran Pamuk che vinse il nobel proprio con il suo magnifico libro Istanbul, narra da sempre le contraddizioni di questo paese meraviglioso, ricco di storia e di arte che però è ancora troppo preda di nazionalismi che si traducono nel disprezzo dei diritti umani. basti vedere come il governo ha trattao i giornalisti e intellettuali durante l’ultimo “colpo di stato ” fallito miseramente.
    Ora Pamuk vive in America e credo sia per lui una specie di esilio dorato, visto che ha ricevuto( sembra) molte pressioni da parte del governo per il suo modo esplicito di criticarlo.

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  2. Mariagrazia, condivido ciò che dici, il regime dittatoriale di Erdogan è un ostacolo insormontabile all’entrata della Turchia in Ue. La rimozione di esso sarebbe preliminare a questo accesso, ma non basterebbe se non venissero rimosse altre cause che ho elencato nel testo.

    Ataturk, era sulla buona strada. Riporto da Wikipedia
    “Diede vita a una serie di riforme fondamentali dell’ordinamento della nazione, sulla base di un’ideologia di chiaro stampo occidentalista, nazionalista e avversa al clero musulmano, che da lui prese il nome di kemalismo. Abolì il califfato e pose le organizzazioni religiose sotto il controllo statale, laicizzò lo Stato, riconobbe la parità dei sessi, istituì il suffragio universale, la domenica come giorno festivo, proibì l’uso del velo islamico alle donne nei locali pubblici (legge abolita solo negli anni 2000, dal governo dell’AKP), adottò l’alfabeto latino, il calendario gregoriano, il sistema metrico decimale e proibì l’uso del fez e del turbante, troppo legati al passato regime, così come la barba per i funzionari pubblici e i baffi alla turca per i militari. Egli stesso prese a vestire in abiti occidentali, ma mantenne temporaneamente l’Islam come religione di Stato, per non turbare eccessivamente i turchi più religiosi.”

    In ambito giuridico, abrogò ogni norma e pena che poteva ricollegarsi alla legge islamica, promulgò un nuovo codice civile, che aveva come modello il codice civile svizzero[21], e un codice penale basato sul codice italiano dell’epoca, ma mantenne la pena di morte”

    Ma anche:
    “Al fine di garantire la stabilità e la sicurezza dello Stato, istituì tuttavia un sistema autoritario, fondato sul partito unico, che sarebbe rimasto in vigore fino a dopo la sua morte. Inoltre, secondo la costituzione kemalista, a guardia della laicità contro i possibili tentativi dei movimenti islamici, venne posto l’esercito stesso, autorizzato a colpi di stato per difendere la secolarizzazione. Nonostante la Turchia fosse rimasta intrinsecamente conservatrice, soprattutto a livello popolare, le riforme di Mustafa Kemal la avvicinarono sensibilmente all’Europa. Si registrarono però fenomeni di repressione delle opposizioni e pesanti violenze contro i curdi”.

    Solo dopo la seconda guerra mondiale in Turchia fu istituito il multipartitismo.
    Oggisappiamo cos’è purtroppo il regime di Erdogan.

    Grazie per la segnalazione del libro Istanbul, avrei dovuto leggerlo prima, lo farò dopo, meglio tardi che mai, chissà se non mi ritorni il desiderio di ritornare a rivisitare questa grande capitale che unisce due continenti.

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    Giàè proprio questa credo la più grossa peculiarità della Turchia (i due continenti) che la rende particolarmente affascinante ma anche “duale” con molte contraddizioni interne, forse insanabili.

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