Un filo di nausea

In questi giorni mi sono chiesta come avrei reagito, fossi stata nei panni di Zingaretti, in merito alla nota vicenda Lotti &Co.

Mi sono (facilmente) risposta cosi:

lo avrei invitato in un bel bar del centro, molto frequentato, gli avrei offerto un caffè, poi, alla sua ennesima occhiata al Rolex d’oro, regalo dell’amico Renzi  e alla frase che immagino molto arrogante, dato il tipo:

“Zinga si è fatta una certa, se abbiamo finito avrei cose più importanti che mi aspettano”, mi sarei alzato, lo avrei accompagnato al suo fuoristrada  con vetri  schermati, avrei atteso che inforcasse gli occhialoni neri, poi, gli avrei detto, parodiando la celeberrima scena del film “Indovina chi viene a cena”, dove una fantastica Katharine Hepburn (già in preda al Parkinson) dice all’amica e direttrice della sua galleria d’arte, che era venuta a trovarla per  dimostrarle falsa pietà  dopo aver saputo che la figlia stava per convolare a nozze con un medico di colore, più o meno queste parole, (ovviamente cambiate per adattarle al personaggio in questione):

“ Grazie Luca della tua disponibilità,  ora vai in ufficio e prenditi tutto quello che ti appartiene compresi i peli biondi inanellati che cadono copiosamente dalla tua testa piumata, sparsi dappertutto,  raccoglili con cura che non ne rimanga neppure uno, poi esci, chiudi a chiave e vattene definitivamente al diavolo.  Ma non perché tu non sia all’altezza del tuo compito, ma perché noi, non siamo più gente che uno del tuo calibro possa permettersi di frequentare”.

A questo punto  Lotti, un po’ spiazzato, tenta di reagire e Zingaretti, calmo, riprende: “No, Luca non dire una parola ma…ingrana”.

 

Ecco, solo cosi non mi sentirei più quel certo filo di amarezza (e anche un po’ di nausea) per aver rivotato PD alle europee e non mi sentirei di nuovo insicura su cosa votare alle prossime (forse molto prossime) elezioni.

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