Megalomania e mitomania.

Riporto qui un brano tratto da una lettera comparsa ieri sul blog “Italians” di Beppe Severgnini, a firma Franco Bifani dal titolo rivelatore:” I megalomani e i mitomani dei blog”.

“I megalomani e mitomani dei blog tendono a sopravvalutare le proprie capacità, in totale assenza di un minimo vaglio autocritico. Affetti da deliri di onnipotenza ed onniscienza, con un Ego smisurato, esprimono convinzioni di strapotere, circa le proprie risorse e capacità redazionali, credendosi Premi Pulitzer. Malati di mendacia patologica, o pseudologia, producono storie fittizie e fantasiose, in cerca di una notorietà inesistente, inondando di scritti ogni spazio libero, sul web e sul cartaceo. Il grafomane logorroico e mitomane, a volte, è conscio del fatto di cacciare palle a raffica, altre volte finisce con il crederci veramente. Mitomania e megalomania bloggiste sono spesso legate al narcisismo, dove si mescola la verità con la menzogna, condita con aria fritta, falsità e ipocrisia. Glorificano la propria supposta unicità, nella pretesa di un riconoscimento universale della propria incontestabile magnificenza.”

 

Questo brano mi sembra sufficiente per dare l’idea di quanto Bifani volesse significare.

Il signor Bifani ha partecipato anche a questo blog con alcuni suoi commenti.

Ognuno è libero di esprimere le proprie opinioni ma farlo senza contraddittorio, in questo caso, mi sembra, come minimo, poco corretto.

Per questo ho postato questo suo intervento (parziale), per dare la possibilità anche ad altri di esporre le proprie opinioni nel merito. Una delle regole basilari della nostra Democrazia a cui io tengo in modo particolare.

Per quanto mi riguarda, trovo il tono della lettera supponente e quel  che è peggio estremamente denigratorio nei confronti di persone che esprimono le proprie opinioni (magari non sempre condivisibili) usufruendo di un mezzo eccezionale fornito dalla moderna tecnologia: il blog o meglio web log, un posto dove chi vuole, può mettersi in contatto per mezzo dei suoi scritti con molte persone, può allargare le proprie opinioni ad un pubblico più vasto possibile, può sfogare la propria creatività in base alla propria sensibilità ed attitudini.

L’utente che li frequenta può soffermarvicisi o ignorarli del tutto. Nessuno obbliga nessuno a leggere o condividere.

Ma denigrare e insultare chi si impegna in questa attività, a mio parere, è un esercizio inutile e dimostra soltanto una profonda intolleranza per tutto quello che non esce direttamente dal proprio  ego, probabilmente frustrato dall’incapacità di considerare che esistono altre opinioni oltre le proprie.

Il signor Bifani mette i blogghisti o blogger tutti in un bel mucchio e li taccia di falsità, ipocrisa, narcisismo, logorrea, mitomania (“cacciare palle a raffica”) e molto altro.

Considerato che si scaglia contro una marea di persone, nessuna di queste dovrebbe sentirsi investita dalla raffica di insulti che snocciola, ma le sue invettive sarebbero degne di una causa per diffamazione. Rimane sempre la class action.

Molto spesso chi si diverte a scagliare invettive gratuite verso il prossimo è una persona che inconsciamente (o meno) sa di possedere tutte le “qualità” che riconosce e che non tollera negli altri.

Una “malattia” come un’altra che avrebbe bisogno, questa si e non la presunta mitomania e megalomania dei blogger, di una seria e mirata “terapia d’urto”.

 

Trambusto elettorale

Pare che la partecipazione al voto sia sempe meno sentita. Specie tra i giovani e i giovanissimi. Ma anche tra i meno giovani.

Il 50% circa degli aventi diritto (in media) pare non vada più  a votare e non abbia intenzione di farlo. Tra i giovani arriva al 70%.

Non lo trovo un bel segnale. la democrazia non può funzionare cosi. I parlamentari che verranno votati non saranno rappresentativi della popolazione nel suo insieme perché la popolazione si rifiuta di eleggerli.

Li schifa. E schifa le urne. Non gliene importa niente che in molti siano morti per potergli dare questa possibilità Non sanno o non si ricordano che poco tempo fa, in Italia, c’è stata una dittatura feroce, che ora sembra voler rialzare il capo, che non consentiva la libertà di scegliere i propri rappresentanti.

Non c’era libertà di esprimersi, le opinioni non esistevano, esisteva il pensiero unico, quello dettato da un regime totalitario che ci ha portato verso una guerra che ha ridotto il paese in macerie.

Ed ora, ci permettiamo il lusso di fregarcene di andare a compiere quello che viene definito un diritto/dovere: esprimere una preferenza su un partito che avrà la responsabilità di rappresentarci in sede parlamentare.

La puzza sotta al naso di molti ormai è diffusa. Si sente per la strada, ovunque ci si giri. Nei luoghi d’incontro veri o virtuali. Ormai il partito più “votato” è il “Non voto”.

Non voto, cioè “me ne frego”. Ricorda il famoso slogan fascista.  Non dico che non capisca le ragioni dei nonvoto, le capisco, posso persino condividerle: la politca ci ha deluso, troppo, siamo stanchi, sentiamo di non contare.

E invece ci contano. Siamo contati uno ad uno. Possiamo fare la differenza. E lo sanno. Per questo ci blandiscono, ce la raccontano, girano e rigirano le stesse frottole nel calderone di quella che viene chiamata insistentemente, fino alla nausea:” Campagna elettorale”.

Ma io la chiamerei “Trambusto elettorale”. Si fanno le regole del gioco a loro immagine e somiglianza e poi pretendono che noi ci stiamo, che votiamo con quelle, ci danno poco margine, ci costringono nello stretto recinto di una casella. E’ tutto vero, ma che altra scelta abbiamo?

Si una scelta l’abbiamo: l’irrilevanza. Non contare nulla. Farci mettere i piedi letteralmente sulla testa e lasciare che ci camminino sulla pancia.

Ma guardateli, uno per uno. Renzi, Berlusconi, Salvini, Di Maio. Questi ci toccano, o votare loro o votare per una delle famose “gambe”, cioè i partitini di supporto, o di protesta. Abbiamo ampia scelta. Ma se li mettiamo tutti in un bel mucchio e ne facciamo un falò e decidiamo che nessuno vale la pena che noi facciamo quattro passi fino alle urne, allora potrebbe sfuggirci di mano del tutto la situazione.

Pochissimi che votano fanno la scelta più scontata e tornano a governare sempre gli stessi ( e tra questi ci sono anche i Cinquestelle che non sono “diversi”ma fin troppo “uguali”), quelli che ci hanno preso in giro fino ad adesso.

Pensiamoci: è questo che vogliamo davvero?

 

Memoria

Riscoprendo la Memoria

ch’ è tracciata nella storia

sul color grigio dei treni e

nell’urlo di quei freni.

Quei biglietti sui binari a

raccogliere frammenti di

una vita ch’era ieri eppur

tanto tempo fa e ha provato

su di sé la ferocia della bestia

nella sua malvagità.

Bestia è quella che nell’uomo

non conosce umanità ma

soltanto la ferocia

nella sua cruda realtà.

Che si incontra in tutti i tempi,

che si fonde col destino

dell’umanità innocente

quando incrocia il suo cammino.

Sulle le orme della storia

riscoprendo la memoria

di quell’odio dirompente

che ha prodotto quell’orrore

di quei campi il disonore.

 

“Ma il personaggio, rispondendo alle domande del gionalista scrittore aveva fatto leggere stralci di un sorta di diario redatto a caldo. Quel diario che qui si pubblica con l’emblematico titolo di “L’Impostore”.
Emblematico perché davvero autore di una grande e stupenda impostura fu il Perlasca in quei freneteci e drammatici e spesso tragici mesi nei quali, assente ogni rappresentanza diplomatica spagnola in Ungheria, egli, che pur avrebbe potuto andarsene tranquillamente , decise di restare , spacciandosi appunto per diplomatico spagnolo, avendo l’ufficio nella sede di proprietà della rappresentanza diplomatica iberica, con tanto di carte intestate, timbri , bandiera, documenti, passaporti, lasciapassare e quant’altro era ovvio trovarsi negli uffici di una rappresentanza diplomatica straniera.”
Questo passo è tratto dal libro “L’Impostore” da il diario di Giorgio Perlasca.
“Nella Budapest del 1944 occupata dai tedeschi, un commerciante italiano, fingendosi addetto all’ambasciata spagnola , pone sotto la sua protezione e salva cinquemila ebrei.
E’ noto come lo Shindler italiano.”

Consiglio la lettura di questo libro a chi non l’avesse letto. Non ha valore letterario ma sono pagine riempite col diario di quest’uomo, nato a Como nel 1910 e vissuto a Padova dal dopoguerra fino alla morte nel ’92 il quale non ha esitato a rischiare tutti i giorni la propria vita per salvare quella di migliaia di ebrei.
Era un commerciante ed era di fede fascista. Ma la sua umanità era tale da essersi impegnato in prima persona compromettendosi ed ingegnandosi in tutti i modi per ottenere la fiducia dei nazisti e per sottrarre intere famiglie di ebrei che si fidavano di lui, dalla deportazione.
Un italiano di cui andare fieri.
Onorato in Ungheria e in Israele. Il suo nome è tra quello dei “Giusti delle Nazioni”a Gerusalemme.

Tra le tante pagine tragiche scritte durante l’ultimo conflitto mondiale, questo diario rimane una testimonianza preziosa di come l’intelligenza unita alla grande umanità ed un altrettanto grande coraggio di un solo uomo, abbia potuto, essere preziosa per le vite di tante persone che senza di lui sarebbero state sterminate senza pietà.

Senza dubbio un esempio luminoso da non dimenticare.

 

Punto senza capo

Davanti ad un punto esclamativo resto di sasso e

non  capisco il punto.

Perché, se il sasso lo lancia il braccio che nasconde

la mano, il punto è la mano che lo traccia.

E perché mi chiedo  se il punto esclama e

lancia un ponte da una sponda all’altra,

quante volte sono disposta ad attraversarlo

e quante volte tu?

Lancia il sasso il braccio e nasconde col punto la

mano, poi si fa ponte e nasconde le sponde che da

una riva all’altra riva portano il sasso al suo destino.

E se il destino del sasso è di attraversare il mare

allora  quanti punti, quante mani e quante

esclamazioni serviranno prima che le due sponde

trovino  un punto dove si incontrano senza ponti ?

Arduo rispondere se non si afferra il punto ma ancor

più arduo se il sasso lanciato finisce in fondo

al mare e il braccio non si fa ponte

e si rischia di annegare.

 

Chi ha capito quale sia il punto? Per la verità nemmeno io lo capisco.

 

Un the al gelsomino

Prendo un the al gelsomino e ci metto un tocchetto di zenzero. The verde, naturalmente. Sono quei piccoli piaceri della vita. Si, piccoli piaceri, poi ci sono quelli grandi, ma quelli arrivano se arrivano e quando arrivano sei quasi sempre troppo occupato per accorgertene. E spesso ti sfuggono.

Dunque, dicevo, che il the verde al gelsomino mi piace e ne prendo tre tazze al giorno.

Ma quel giorno, un giorno di tanti anni fa, mi trovavo seduta al bar del centro. Nella piazza del paese, una bella piazza, circolare, come deve essere una piazza e con al centro il monumento ai Martiri della Resistenza.

E’ un bel monumento, raffigura un partigiano con le mani alzate unite e legate da una corda, le mani si allungano al cielo e l’espressione dell’uomo è molto sofferente, sembra un Cristo in croce.

Una lapide, accanto, con alcuni versi di una poesia che parla del sacrificio dei partigiani e dell’importanza della loro lotta. Una scritta dorata, in rilievo che molti leggono distrattamente senza neppure capirne il senso.

Lo si intuisce dalle loro facce che qualche volta mi fermo ad osservare. E, spesso, ci fanno giocare i bambini su una specie di scivolo di marmo che trattiene la lapide. Incuranti del valore, profondo, di quella statua. Di cui, forse, neppure capiscono il significato.

La poesia è una grande cosa. Per chi l’ama. Dice tante cose, piccole o grandi o enormi, con poche parole. Lo so, i poeti in genere sono antipatici ai più. Pretendono che tutti li stiano ad ascoltare, oppure si tengono i loro versi chiusi in un cassetto e ci rimuginano su senza avere il coraggio di farli leggere a nessuno. Ci sono gli spudorati e i timidi. Ma la poesia deve essere un po’ spudorata altrimenti non passa, non si fa strada, viene risucchiata indietro, finisce in angoli bui. Oppure se è timida devono passare secoli prima che qualcuno la prenda sul serio e magari, con qualche sforzo, l’apprezzi. Vale anche per le persone, a volte. Ma è la forma d’espressione che più ci fa consapevoli di appartenere a qualche cosa di grande, di indefinito, assieme alla pittura che, però, a volte, è prepotente e persino arrogante. Mentre la poesia si affaccia dal foglio, la pittura trasborda dalle tele e a volte è quasi uno schiaffo. Ma altre volte, invece è quel miracolo di bellezza che si fa perdonare.

 

Mi trovavo li seduta e stavo sorseggiando il mio the.

Passa uno. Si ferma, mi guarda,sembra riconoscermi.

“Scusa, ma tu…non sei…?. E mi dice il mio nome per esteso. ” Scusi, non ricordo, …” ribatto stupita.

E penso: chi sarà questo sconosciuto cosi bene informato? Poi lo guardo meglio: alto, capelli neri appena spolverati di fili argentati, buttati all’indietro, una fossetta sul mento, naso aquilino, occhi verdi, magro  ma non troppo, atletico, ben vestito. Quasi, quasi mi faccio tornare la memoria. Mi dispiace, possibile che sia cosi smemorata?

Poi, d’un tratto, sapete come succede nei film? Ho una sorta di flash-back e mi torna in mente tutto. Ma proprio tutto.

Quell’estate a Misurina. Ecco dove l’ho conosciuto. Ma come è cambiato! Me lo ricordavo più grasso e con qualche brufoletto. Ma quanti anni aveva? Forse 17 o 18…mah. E anch’io, 16 o 15. Adolescenti, insomma.  Quello che mi ricordo più di tutto sono le nuotate nel lago. Freddo, gelato. I tuffi dal pontile e le gite in barca. Si, credo di essere stata proprio felice in quei momenti, me ne ricordavo come se li avessi più sognati che vissuti.

Ma non è mai successo niente tra di noi. Solo che lui mi ha tampinato da subito. Ma aveva già la ragazza e faceva parte della compagnia. Lo spudorato. Ma un giorno me lo disse che se lo avessi voluto era disposto a lasciarla anche subito. Si, magari non proprio subito.

Non ricordo bene  come andò, ma a me non piaceva troppo e neppure mi piaceva troppo l’dea di essere una “sfascia famiglie”. Si fa per dire, naturalmente. Ma era simpatico, come altri della compagnia.Ma niente di più. E poi ricordo che mi divertivo molto  a nuotare e anche a ballare e non mi andava di legarmi a nessuno.Ero una ragazzina mentre lui mi sembrava già un uomo.

Guardavo dentro la tazza, ora. Il mio the stava diventando freddo.

“Ma tu che cosa fai da queste parti”?

“Sono un finanziere, mi hanno trasferito qui da qualche giorno”.

“Ah, si? E ti piace qui”? Domanda sciocca, giusto per riempire quel momento per me cosi imbarazzante.

“Bellissimo, si, mi piace molto”. Mostrando persino troppo entusiasmo.

Mi chiede se abito vicino, rispondo che no, cioè, si, no, sono di passaggio. Mamma mia, questa è pazza, deve aver pensato.

Mi sentivo a disagio, improvvisamente, la vita, tanta, era passata, cosa c’entrava, ora, questo con me? Nulla. E da dove era sbucato? Era durata anche troppo quella strana conversazione. Forse era meglio se mi alzavo e me ne andavo subito, anzi, di corsa. E lo feci lasciandolo con un’espressione un po’ perplessa a guardarmi attraverso il vetro mentre attraversavo a passo svelto la piazza.

Perché il the era ormai freddo e a me piace caldo. Anche d’estate. E’ un piacere piccolo ma intenso e delicato e a lasciarlo raffreddare perde un poco o tutta della sua piccola, grande magia.

 

 

Meraviglia

Grillo si è fatto un suo blog.

Echissene…dirà qualcuno. Anchio sono tra quelli perché sarà molto difficile che mi sogni di guardarlo ma Grillo è un influente personaggio politico. Grillo da dieci anni ci martella con le sue teorie sul parlamento da aprire come una scatoletta, su politici corrotti, sulla politica che ha la colpa di tutti i mali dell’Italia. E ora che il suo movimento di uomini “contro” è diventato, a tutti gli effetti, un partito di uomini” per”, in giacca cravatta e annessi e connessi,comprese tutte le magagne che lui mandava a vaffa, ora ci ripensa, si toglie, missione compiuta, i suoi sono entrati finalmente nella scatoletta, potete chiudere il coperchio e amen.

Lui, però, si chiama fuori. Non ne vuole più sapere, li disconosce, da padre nobile li desereda tutti, dal primo all’ultimo.

Saranno stati “ragazzi meravigliosi” ma ora la “meraviglia” è finita. Ha scoperto di avere messo un piedi un partito politico nella migliore tradizione e che  i ragazzi sono diventati uomini.

E non gli garba. Vuole ritornare nella sua follia creativa dimentico di tutti i problemi, soprattutto identitari che la sua “creatura”, gli sta creando.

Se ne allontana ormai sa camminare da sola, vada pure per la sua strada senza di lui.

E non credo voglia neppure più tanto essere né portavoce, né garante: si arrangino. Hanno voluto la bicicletta?
Vadano in mezzo al traffico senza casco. E poi vedremo se sono capaci di cavarsela da soli.

Lui, ha già dato, ora deve pensare al proprio futuro. magari all’estero, da cervello in fuga.

E chi gli corre dietro?

Disumanità

Quando mi capita di avere a che fare con uffici pubbici, sportelli di qualsiasi genere, casse dei supermercati, medici di base, banche etc., mi succede spesso di sentire questa frase: “Si deve armare di pazienza”.
Ma la pazienza, in Italia, è un’arma spuntatissima. Un’arma che non fa paura a nessuno, al contrario, più la mostri e meno si spaventano.
Faccio un esempio. Sono alla cassa del supermercato, prossima alla chiusura, sono stanca, dopo venti minuti di coda arriva il mio turno. Prendo una busta ecologica di carta dall’espositore (50 cent l’una) e mi appresto a imbustare la spesa. Si rompe subito: uno squarcio. Strano, penso, di solito sono solidissime.
Bene, la cassiera mi dice di prenderne un’ altra, la prendo e procedo ad imbustare la spesa. Pago. Prendo la busta per i manici e…si stacca il fondo e la spesa se ne va sul pavimento rotolando di qua e di la con mi grande sorpresa ( le buste  sono previste per 10 kg.di peso e non saranno stati neppure la metà).
Nel frattempo la cassiera era occupata con altro cliente e, alla mia richiesta di un’altra busta, ma non più di quel tipo, mi guarda seccata e mi dice di aspettare.
Ancora? A questo punto la mia pazienza, solitamente scarsa, si riduce al lumicino.
Mi faccio porgere una borsa più robusta (70 cent.) da una signora, raccolgo la mia roba e faccio per andarmente mandando tutti al diavolo: nessuna solidarietà o minimo cenno di aiuto da parte di nessuno, meno che mai la cassiera, addirittura un signore mi fa cenno di togliermi al più presto dai piedi con un gesto volgare.
La mia pazienza è ormai finita, più spuntata che mai. Mi avvio verso l’uscita mandando tutti a quel paese.
La cassiera mi urla che devo pagare la borsa e devo aspettare lo scontrino altrimenti mi deve far rincorrere dalla sicurezza.
Torno indietro seccatissima. Attendo che arrivino rinforzi per farmi dare lo scrontrino dei 70 cent perché la cassa è ancora occupata, attendo il il resto di cinque euro, mando al diavolo il mondo intero ed esco.
Ma non ci sto. Ho pagato un euro e 20 centesimi per due buste una delle quali inservibile, probabilmente tutta la partita era difettosa, ho dovuto raccogliere la spesa dal pavimento, mi sono presa della deficiente da chi aspettava il suo turno alla cassa e sono furiosa.
Bene, decido che non possono passarla liscia.
Metto la spesa in macchina e ritorno dentro il supermercato. Vado alla cassa centrale e chiedo del direttore. Arriva, gli spiego l’accaduto e gli do questo ultimatum: “sono cliente da dieci anni, se non mi da soddisfazione da domani non mi vedete neppure col binocolo”.
Si scusa e mi chiede cosa chiedo. Gli rispondo che rivoglio i 50 centesimi che ho pagato in più e le scuse ufficiali, come risarcimento simbolico.
Mi dice che va bene e mi fa attendere perché nella cassa centrale non hanno spiccioli…
Al che, la mia pazienza  diventa innocua come  un palloncino per feste di compleanno.
Mi metto a ridere piuttosto nervosamente.
Il direttore mi prende per un braccio e mi fa: “Signora, cosa dice, ce lo prendiamo un caffè nell’attesa”?

Sembra un episodio insignficante ma capitano tante cose cosi che sembrano insignificanti ma che messe tutte assieme ci fanno capire di vivere in un paese complicato da una mancanza totale di elasticità mentale quasi congenita.

Eppure gli itaiani sono intelligenti, almeno nella stragrande maggioranza, sono solidali, sono duttili, eclettici ma in quanto ad elasticità mentale, comincio a nutrire molti dubbi.

Cosa costava al supermercato capire che in certi casi non si può essere cosi fiscali e pretendere che i meccanicismi precostituiti impediscano di vedere persino le realtà più evidenti?

Perchè non è possibile alzare la testa dalla prassi ricorrente  per guardare con occhi diversi una cliente che è anche una persona e non solo un fantasma che passa quasi ogni giorno davanti ai tuoi occhi senza che tu riesca neppure a ricordarne i connotati?

Sarebbe tutto più semplice se qualche volta riuscissimo a dare il giusto valore alle situazioni. La cassiera avrebbe potuto permettermi di lasciare il supermercato integrando lei lo scontrino coi 20 cent. di differenza.

Io, forse non mi sarei risentita per la freddezza e l’insensibilità dimostrata da tutti gli astanti e la cosa sarebbe passata come un piccolo incidente senza storia. Mentre l’ottusità dimostrata da tutti non è che la punta di un iceberg che arriva a profondità abissali, segnale inquietante di una società in via di disumanizzazione.

La gara

Già io non ne posso più

di sentirli blaterare

di promesse ne fan troppe

tutti vogliono strafare.

Dire tutto e ancor di più

è una gara disgustosa

a chi le spara più grosse

per raccoglier voti a josa.

Ci son quelli in doppiopetto

con lo sguardo corrugato

vanno in visita nel tempio

e si ferman sul sagrato

per guardar le meraviglie

opre d’arte non quisquilie

e poi affermano compunti:

se ci date il vostro voto

e con noi siete congiunti

ne vedrete di migliori

leggi belle noi faremo

e di fior vi copriremo.

Però noi non siam sicuri

questa volta men che mai

è una scelta inver ben dura

c’han fregato tanto assai.

Sembran tutti molti seri

sembran dir la verità

saran tutti dei cialtroni

o qualcun si salverà?

 

 

 

Obbrobrio

Obbrobrio! Avrebbe esclamato Totò  della dichiarazione di Attilio Fontana e cioè che la razza bianca va difesa dall’invasione.

Era meglio se stava zitto, se si teneva il suo “lapsus” in seno, ma ormai, voce dal sen fuggita…

Il candidato presidente alla regione Lombardia, leghista, non poteva iniziare peggio la sua campagna elettorale. Ma, forse, per i leghisti non poteva esserci inizio migliore.

Questione di punti di svista. Di “lapsus” come questi, ho paura che ne sentiremo parecchi.

La verità è che il centrodestra è in testa ai sondaggi proprio per la sua impostazione sui migranti, sul pericolo che la “razza bianca”, nel nostro paese scompaia per far posto a loro. A ragion veduta, per la mentalità leghista, il miglior argomento. Quello che attrae più consensi in assoluto e i numeri gli danno ragione.

Non credo ai lapsus: il discorso di Fontana ha un’impostazione chiara e netta: “negher foera di ball”. Da veneta non sono sicura che questa sia la traduzione giusta in meneghino di uno slogan razzista, ma credo che sia comunque facilmente comprensibile. Ora si scusa, fa marcia indietro, si è trattato di un lapsus: peso tacon del buso, direbbe mia nonna, lo vedi che era meglio se stavi zitto? Direbbe Totò. La scusa è, se possibile, ancora  peggio della battuta razzista, da l’impressione che Fontana volesse dire: l’ho sparata grossa, ma è proprio quello che penso, solo sono stato uno scemo, dovevo esprimermi politicamente più correttamente.

Ma, credo, faccia gioco ai leghisti, la prima affermazione, come la seconda (che la conferma).

Un ripasso della Costituzione e delle regole fondamentali della nostra democrazia, non farebbe male a Fontana. Salvini, aspirante premier, dovrebbe dissociarsi invece di trovargli scusanti e rincarare la dose.

Ma come fa un leghista della prima o anche della seconda ora, dissociarsi da una mentalità che sarà proprio l’arma vincente per arrivare a Palazzo?

Secondo me dovrebbe farlo e subito. Fontana potrebbe significare una macchiolina d’olio che potrebbe espandersi e sulla quale potrebbe anche scivolare.

Sarebbe un’ottima occasione per dimostrare quell’intelligenza, politica e non, di cui,  di sicuro, il leader leghista è ben fornito. Ma se è contento di scivolare, figurarsi io…

 

 

Agenti superiori

Allora, diciamolo chiaramente, la discussione sulle molestie, tra chi denuncia e chi denuncia le denuncianti e le ridicolizza (vedi Deneuve e altre) non va avanti di un millimetro perché agli uomini (in buona parte) non va giù che la donna prenda posizioni contro di loro.
La donna dovrebbe sempre mediare tra le posizioni e farlo a favore degli uomini, mai contro. La supremazia del maschio ha agito per secoli sulla società contribuendo a delimitare il recinto entro il quale le donne erano autorizzate (dall’uomo) a muoversi.
Da questo deriva disparità di trattamento sul lavoro, in famiglia è sempre la donna a prendersi il maggior carico di incombenze. Nella società la donna si inserisce a fatica. Ha le sue nicchie, i suoi posticini privilegiati, ma guai a sconfinare. Basta, per fare un esempio, guardare la partecipazione ai vari blog, sia che si tratti di quelli autogestiti che di quelli supportati dalle testate giornalistiche: sono tutti uomini, a parte qualche eccezione.
Si dirà: la donna ha altro da fare. Già, si la donna ha di tutto da fare e meno si “espone” e meglio è.
Questo lo pensano più uomini di quanto non si pensi.
Vediamo un esempio al limite: Fancesco Bellomo, il consigliere di Stato che è stato cacciato per la faccenda dei contratti che faceva firmare alle studentesse del suo corso per entrare in Magistratura.
Un surrogato di maschilismo ottocentesco che avrebbe fatto rizzare i capelli in testa a Landrù.
Dovevano vestirsi come diceva lui, scegliere i fidanzati che piacevano a lui, truccarsi come diceva lui e si definiva nientemeno che. “Agente superiore”.
Superiore alle donne, naturalmente. Alcune ragazze lo hanno denunciato ed ora la sua vicenda è nota a tutti. Ma quanti Bellomo si celano nelle aule universitarie di cui non si sa nulla?
La stessa pretesa di molte statistiche condotte a livello internazionale di stabilire una presunta parità di violenze subite dai due generi (una palese assurdità), sta prendendo sempre più piede.
In tempi di fake news potrebbe passare anche questo messaggio. Ma per quanto in buona fede (cosa della quale mi permetto di dubitare), i ricercatori non riusciranno mai a stabilire, prove alla mano, una fiaba del genere.
I cimiteri sono a testimoniare di quante donne vengono fatte fuori dai compagni senza possibilità di scampo.
La prova regina si trova li e non in ricerche che “ricercano” tesi che contraddicono persino il buon senso e la logica.